«Ah sì, allora: una mezza dozzina di procedimenti minori si è spenta per lo più senza arrivare neppure davanti al gup. Al processo di Palermo per inquinamento dell’aria, dopo l’assoluzione in primo grado, neanche la Procura ha fatto appello. L’accusa di disastro ambientale a Enna si è prescritta a indagini in corso, un’altra spolverata di assoluzioni e archiviazioni per abuso d’ufficio...». Raffaele Lombardo è straordinario già per come lo dice. Parla dei suoi dieci anni da ex governatore più amato d’Italia («più del Formigoni dei tempi d’oro» ) passato come un filetto nel tritacarne del macellaio e non si scompone mai. Quasi sorride. E non è una serenità dettata solo dall’ultima assoluzione, pronunciata due giorni fa dalla Suprema corte in un altro “giudizio minore”, ma andato avanti per una mezza dozzina d’anni: lo avevano accusato di voto di scambio insieme con il figlio, Toti. «Assolti in primo grado, condannati a un anno in appello, eppure in primo grado era finita con un bel “il fatto non sussiste”, una giudice donna, una splendida sentenza: la Cassazione, nell’annullare senza rinvio, si è riportata alla pronuncia del Tribunale». Su tutto poi c’è il processo- madre, manco a parlarne: «Sì quello nato dall’inchiesta Iblis, entro febbraio l’appello bis dovrebbe chiudersi».

Sì presidente, 10 anni dopo, un avviso di garanzia dato sui giornali, capi d’accusa declamati dal Tg1.

Vedo che sa tutto, complimenti.

Ci si documenta, ma viene un gran mal di testa.

La capisco, si figuri il mio stress. Ero il secondo presidente di Regione più amato d’Italia nel 2008, dopo Formigoni, lo superai nel 2009, con l’avviso di garanzia notificatomi da Repubblica il 29 marzo 2010 scesi appena alla quinta posizione.

Appunto, poi dieci anni di uragano giudiziario.

Ancora in corso, e le posso dire che altri al mio posto sarebbero crollati, con una simile valanga di accuse, tutte finora svanite ben prima del processo, o cadute nel nulla, come l’ultima, o tormentate da incredibili contraddizioni come il concorso esterno, il processo principale. Ecco, altri, scaraventati dalla popolarità a un simile bombardamento, avrebbero sballato. Prima di iniziare la carriera politica, da consigliere comunale già negli anni 80 a Catania, da laureato in Medicina mi ero specializzato in Psichiatria forense. Delle relazioni fra stress e alcune gravi patologie so tutto.

Lei come Bassolino, De Girolamo...

Come Mannino, mio caro amico. Ci siamo visti pochi giorni fa a un funerale, ci siamo salutati con grande affetto. Lui si è fatto 25- 30 anni nei palazzi di giustizia.

Ma a furia di politici assolti dopo lustri, la fiducia nei magistrati non crollerà?

Mi perdoni se aggiro la domanda. Io ho ancora un paio di centinaia di persone che a ogni festività mi mandano messaggi di auguri. Rispondo sempre a tutti, ma stavolta sarò in difficoltà, perché subito dopo la notizia dell’assoluzione per me e mio figlio Toti, ai tradizionali 200 se n’è aggiunto almeno il doppio. Persone che non si erano mai fatte sentire in questi anni. Si sono tutti rallegrati della sentenza in Cassazione.

Ma non c’entra con la fiducia nei giudici.

C’entra con la paura. Secondo lei perché in questi dieci anni non s’erano mai sentiti? Temevano che inviarmi un messaggio potesse metterli nei guai. Una cosa da conigli: che rischio c’era? Tanti di loro se ne sono usciti col solito epitaffio “c’è un giudice a Berlino”. La citazione dotta... Avessero almeno scritto “c’è un giudice a Roma”, dove ha sede la Cassazione.

Da dov’era nato il processo con suo figlio?

Un consigliere di quartiere a Catania, figlio di un mio vecchissimo amico, dopo la candidatura di mio figlio all’Assemblea regionale mi aveva chiesto l’assunzione del cognato. Io ero governatore dimissionario. Lui è un uomo del popolo, timoroso di disturbarmi quando mi chiamava, una via di mezzo fra lo smargiasso e il millantatore quando ne parlava con altri. “Se Lombardo non fa quello che gli ho chiesto vi faccio vedere io come finisce...”. La giudice in primo grado ci assolse. Poi mio figlio arrivò a fine mandato nel 2017: non volle comunque ricandidarsi, nonostante l’avessero molto apprezzato a Palazzo dei Normanni.

Ha pagato, comunque, suo figlio: ora vi hanno assolti, ma a lui è venuto il disgusto per la politica.

Gli era venuto prima della condanna a un anno che ci siamo visti infliggere in appello. È avvocato in uno degli studi di diritto d’impresa più noti, con Abbadessa e Franchini. Di politica non vuol più saperne.

A breve finirà l’appello bis sul concorso esterno.

Farò le mie dichiarazioni entro gennaio, poi le conclusioni. Siamo tornati in appello nonostante la Procura generale della Cassazione si fosse detta favorevole ad accogliere il ricorso presentato da me contro la condanna residua per voto di scambio aggravato, anziché quello dell’accusa sull’assoluzione dal concorso esterno. Ma proprio il paradosso dell’assoluzione dal reato più grave e la colpevolezza per l’altro reato è parsa, alla Suprema corte, abbastanza illogica da indurla a chiedere un nuovo giudizio.

È venuto il mal di testa solo a seguirla, presidente.

E s’immagini a me.