Trovarsi dall’altro lato della “barricata” deve aver allargato gli orizzonti agli ex pm Antonio Di Pietro e Antonio Ingroia. Dismessa la toga per intraprendere, dopo alterne esperienze politiche, l’attività forense, i due magistrati hanno cambiato opinione in tema di giustizialismo “spinto”, di cui Di Pietro, in particolare, è stato il più celebre portabandiera. Il primo a intervenire nei giorni scorsi sull’argomento era stato proprio l’ex pm di Mani pulite: “Io ho fatto politica sulla paura che le manette incutono agli altri - aveva dichiarato in una intervista ai microfoni di Radio Cusano - purtroppo, spesso, nel nostro Paese, chi sbaglia non paga, anche perché tante volte il magistrato parte con la montagna di accuse, per poi partorire il topolino”.

“Io sono consapevole di avere creato dei "dipietrini" nella magistratura e me ne pento”, aveva poi aggiunto, evidentemente consapevole dei danni che il populismo giudiziario, quello per intenderci del “non esistono innocenti ma solo colpevoli che l’hanno fatta franca”, ha causato in questi decenni nella società italiana.

Sul punto è quindi intervenuto ieri l’ex procuratore aggiunto di Palermo, il magistrato che ha incardinato la discussa indagine sulla “trattativa Stato- mafia”. “Che ci siano stati e ci siano spesso provvedimenti di qualche pm un po’ avventati che rubano la scena mediatica e poi si rivelano inconsistenti, purtroppo è una realtà cui assistiamo in questi ultimi anni, che sono anni, obiettivamente, di declino e non di progresso della magistratura. “Non so se Di Pietro si riferisca a qualcuno in particolare – ha poi aggiunto Ingroia - non faccio l’interprete delle sue intenzioni più o meno occulte, però non credo sia lontano dalla verità, lo vedo oggi nella pratica quotidiana mia di avvocato. Forse c’erano in nuce anche quando facevo il pm, per carità, ma oggi sono più eclatanti”.

A dire il vero Ingroia da tempo, da quando è diventato avvocato, ha avviato un percorso di “resipiscenza”. In una intervista di qualche anno fa a questo giornale, infatti, aveva affermato che “da avvocato” vede “cose che prima faticavo ad immaginare”, criticando il fatto che i gip accoglievano nella quasi totalità dei casi le richieste del pm. “Il giudice ormai svolge una funzione notarile rispetto alle Procure”, aveva precisato Ingroia, forse dimenticandosi che il “copia& incolla” è una prassi - purtroppo consolidata da molto tempo.

TENSIONI “POSTDATATE” E TRA LE TOGHE IN SERVIZIO

I pentimenti tardivi, che giungono anche in una età matura - Di Pietro ha recentemente compiuto i settanta anni - possono essere letti come conseguenza di una perdita di autorevolezza della magistratura, perdita che ha comunque come positivo risvolto uno sforzo autocritico a cui in passatoi si è assistito raramente. E per rispondere alla profonda crisi delle toghe, messa in luce dal caso Palamara, si segnala la risposta, tutta interna alla magistratura, del gruppo “Articolo 101”, la lista nata per andare contro il sistema delle correnti e che è all’opposizione nel Comitato direttivo centrale dell’Anm.

La disaffezione per l’associazionismo giudiziario, invece, è un fenomeno in crescita nell’ultimo periodo. Dopo l’astensione circa il 30 per cento degli aventi diritto non ha votato alle recenti elezioni dell’Anm - il dissenso contro l’attuale compagine associativa è l’ultima frontiera. Secondo una lettera aperta, che sta facendo molto discutere, di alcuni magistrati in servizio al Tribunale di Napoli, che hanno deciso in questa settimana di lasciare l’associazione, l’Anm sarebbe incapace di andare “oltre il bla bla sulla questione delle correnti, sul caso Palamara e sulla moralizzazione del fenomeno dei fuori ruolo”.