Tre anni e 11 mesi di detenzione inflittigli nel 2015 per una “induzione indebita” contestatagli nove anni prima, insieme ad un'altra ventina di capi d’imputazione bocciati, peraltro senza che l’accusa avesse trovato una traccia concreta e incontrovertibile di utilità ricavata indebitamente nell’esercizio delle sue funzioni di governatore d’Abruzzo, sono valsi la perdita del cosiddetto vitalizio parlamentare a Ottaviano Del Turco. Che a 76 anni di età compiuti il 7 novembre scorso è chiuso in casa a consumare quel che della vita gli hanno lasciato un tumore, un Parkinson e l’Alzehimer.

Mi scuso naturalmente con i familiari dell’ex parlamentare e sindacalista socialista per la rivelazione delle malattie di Ottaviano, che mi permetto di chiamare per nome per vecchi rapporti di amicizia di cui mi sento ancora onorato, nonostante il disonore che secondo la mentalità corrente in questi curiosi e drammatici anni di non ricordo più quale Repubblica, se terza o quarta, spetterebbe allo sventurato. Per il quale naturalmente non vale la irretroattività delle pene. Il caso di Del Turco è così clamorosamente disumano che non hanno avuto il coraggio di renderlo noto neppure quelli che lo hanno voluto e deciso. Hanno generosamente, diciamo così, lasciato lo scoop agli avversari. Non per fare un torto a Ottaviano, familiari ed amici ma vorrei sommessamente osservare che quel che più fa paura di questa vicenda è il clima politico in cui ciò è potuto accadere: un clima semplicemente da sciacalli e vigliacchi.