Una giovane donna che gioca a scacchi e che mette in riga i migliori giocatori del mondo.

No, non stiamo parlando di Bet Harmon, l’affascinante ma immaginaria protagonista della fortunata serie Netflix The Queen Gambit tratta dal bellissimo romanzo di Walter Trvis, ma dell’ungherese Judit Polgar, la più forte giocatrice di tutti i tempi.

Per ogni bambina che si cimenta nell’iperbolica arte degli scacchi Judit Polgar è un modello assoluto, un esempio e un simbolo di riscatto.

Mai nessuna donna prima di lei era riuscita a insidiare i più forti campioni di questo sport elitario, autoreferenziale e «più violento di una guerra», per citare le parole del grande Gari Kasparov.

È apparsa sulla scena alla fine degli anni 80 come un uragano; nel 1988 è campionessa del mondo under 12, unica ragazzina iscritta al torneo maschile. Già, perché Judit per oltre vent’anni ha sempre giocato con i maschi( esiste una federazione femminile separata) e più che un soffitto di cristallo ha dovuto abbattere un vero e proprio muro fatto di sufficienza, paternalismo, autentico maschilismo.

«Ero sempre l’unica donna in un ambiente completamente maschile, immaginate i commenti, le battutine, non è stato facile emergere, mi allenavo ore e ore ogni giorno per riuscire a batterli», spiega in un’intervista del 2016 alla tv britannica Bbc.

La determinazione con cui ha scalato l’olimpo scacchistico è pari solo al suo talento. A 15 anni diventa il più giovane grande maestro della storia, battendo il precedente record di Bobby Fischer che resisteva da più di 30 anni, Proprio lui, il geniale e pazzoide Fischer che una volta nel pieno del successo affermò senza vergogna: «Posso battere qualunque donna giocando con un pezzo di meno».

Quando era poco più di una bambina i suoi risultati sorprendenti la proiettano nel circuito dei grandi tornei dove incontra i giocatori dell’élite mondiale. Inizialmente viene guardata con sufficienza, «è brava ma deve crescere», «molto dotata ma non riuscirà mai a imporsi con i migliori», dicono con velato disprezzo i colleghi. Poi, dopo le prime brillanti vittorie e i primi scalpi illustri che comincia a collezionare il tono cambia drasticamente.

Dalla benevolenza pelosa si passa al rispetto e infine direttamente alla paura. Tutti hanno una paura matta di Judit e nessuno vuole perdere, contro di lei decuplicano gli sforzi. Uno stimolo in più per il prodigio ungherese, consapevole di lottare da sola contro tutti. Alcuni giocatori si rifiutano persino di stringerle la mano all’inizio delle partite.

Manco a dirlo sono gli stessi che qualche ora dopo si ritrovano a piagnucolare sulla «fortuna» della loro rivale, accampando ogni scusa per giustificare la sconfitta.

Una volta, invitata a un importante torneo, fece a pezzi in poche mosse un quotato maestro internazionale provocandogli un’autentica crisi di nervi: «Era così arrabbiato che ha iniziato a sbattere la testa contro il tabellone», racconta Judit, che per rispetto verso l’avversario non ha mai rivelato il suo nome al grande pubblico.

Lo stesso Kasparov, campione del mondo dal 1985 al 2005, pur riconoscendo le fenomenali doti della giovane Judit, non le diede molto credito: «È bravissima, ma pur sempre una donna, non credo che avrà la caparbietà di durare nel tempo per battere i migliori».

Quando. nel settembre del 2002 in un incontro Russia contro resto del mondo, viene sconfitto da Judit in 42 mosse ripensa a quelle improvvide dichiarazioni e si scusa, ammettendo di avere sbagliato, cosa non da poco per l’egocentrico Gari.

Oggi Kasparov è diventato un buon amico di Judit e le sue idee sugli scacchi femminili sono talmente cambiate da aver persino partecipato alla stesura della sceneggiatura di The Queen Gambit come consulente speciale.

Olte a Kasparov Polgar ha più volte messo all’angolo un altro vecchio campione del mondo: il gelido fuoriclasse Anatoli Karpov, beniamino dell’establishment sovietico e successore di Fisher. E poi il dotatissimo indiano Anand, il solido britannico Michael Adams, l’altro britannico ed ex sfidante per il titolo Nigel Short che la definì «uno dei quattro talenti più splendenti nella storia del nostro gioco», il bulgaro Veseilin Topalov, lo stralunato e geniale ucraino Vassily Ivanchuck.

Cadaveri eccellenti diventati nel tempo ottimi partner di gioco, maestri con cui ha condiviso le analisi e gli imperscrutabili segreti di Caissa ( la musa ispiratrice degli scacchi).

Sulla scacchiera lo stile di Judit è mirabolante, perennemente votata all’attacco e alla conquista dell’iniziativa (calcisticamente parlando gioca con il 4- 3- 3), nel corso della sua carriera i suoi piani strategici e le sue punte tattiche hanno destabilizzato decine di avversari con sacrifici inattesi, con linee di gioco originali e squilibrate, ma anche combattendo con un estrema tenacia, lottando nelle posizioni inferiori, difendendosi come una leonessa quando era in difficoltà e gli avversari erano pronti a darle il colpo di grazia.

Si è imposta senza l’aiuto di nessuno, guadagnandosi letteralmente ogni centimetro di gloria.

Oggi, a 44 anni, Judit Polgar si è ritirata dalle competizioni, dedica la sua vita all’insegnamento degli scacchi (ha allenato più volte la selezione maschile ungherese) e alla promozione del gioco.

Con una missione chiara da portare a termine: dimostrare non solo con l’esempio che negli scacchi tra maschi e femmine non c’è alcuna differenza, nonostante nella top cento mondiale figuri solamente la cinese Hou Hifan all'88esimo posto: «È una questione culturale, tra i sei e i dieci anni, il livello è più o meno lo stesso, il divario viene fuori qualche anno dopo, ma questo soltanto perché le ragazze non vengono incentivate dalle famiglie e dall’ambiente a proseguire nelle competizioni, così nei circoli su cento giocatori che trovi meno del 5% è composto da donne».