Francesco Bellomo e Davide Nalin sono stati assolti dal tribunale di Piacenza. L'ex consigliere di Stato destituito, famoso per aver imposto un "dress code" alle sue borsiste, e l'ex pm di Rovigo, sospeso, erano accusati di lesioni volontarie e stalking ai danni di una giovane donna, partecipante alla scuola di formazione "Diritto e Scienza" di Bellomo. Secondo l'accusa la borsista sarebbe stata insultata, minacciata e sottoposta a interrogatori, anche incrociati, sulla vita sessuale. Il gup ha però assolto i due imputati dal reato di lesioni perché il fatto non sussiste ed è caduta, in quanto improcedibile, anche l'accusa di stalking, per ritiro della querela nel settembre 2018, dopo una conciliazione tra le parti. Le motivazioni verranno depositate entro novanta giorni. Il procuratore Grazia Pradella e il pm Emilio Pisante avevano chiesto tre anni e quattro mesi per Bellomo, un anno e quattro mesi per Nalin. Si tratta della seconda vittoria di Bellomo in sede penale, dopo l'archiviazione incassata a Milano per le accuse di atti persecutori e violenza privata nei confronti di quattro studentesse della scuola. Quella emiliana è la prima sentenza, arrivata dopo oltre due anni di udienze e rinvii, e dopo una perizia tecnica disposta dal giudice sulla giovane che presentò la denuncia. Bellomo e Nalin sono stati rinviati a giudizio anche a Bari, dove dovranno rispondere di maltrattamenti ai danni di ragazze. Il processo inizierà il 3 dicembre davanti al giudice monocratico. Stando alle carte del filone di Bari, lex consigliere di Stato, sospeso dal ruolo nel 2017, quando scoppiò lo scandalo del contratto imposto alle sue allieve, avrebbe avuto relazioni intime con tutte e quattro le sue presunte vittime. Relazioni basate sulla «manipolazione psicologica», attraverso lo «svilimento della personalità della partner» per ottenere il loro «asservimento», limitando la «libertà» e «lautodeterminazione» delle donne che avevano a che fare con lui, ridotte «in uno stato di prostrazione e soggezione psicologica». Condizione che accettavano per «il concreto timore delle conseguenze sul piano personale e professionale», subendo così «atti lesivi dellintegrità fisica e psichica, della libertà morale e del decoro e ad una condotta di sistematica sopraffazione tale da rendere particolarmente doloroso il rapporto personale e professionale». «Si chiude una vicenda molto dolorosa, che ha avuto un impatto mediatico molto forte. Come spesso accade, quando nel processo si ricostruisce la verità, i fatti risultano nella prospettiva propria del processo penale diversi da quelli rappresentati nei media. È infatti il processo la sede dove si deve fare una distinzione tra comportamenti eventualmente non condivisibili, magari inopportuni dal punto di vista deontologico e quelli penalmente rilevanti. Questa distinzione è fondamentale nel diritto penale laico e liberale», è il commento dei difensori di Bellomo e Nalin, l'avvocato Beniamino Migliucci e il professor Vittorio Manes.