L’emergenza sanitaria legata alla diffusione del Covid- 19 ha, come mai nessun evento dal dopoguerra ad oggi, duramente colpito il nostro Paese e le ripercussioni hanno coinvolto ogni ambito e settore della vita dello stesso: dal punto di vista lavorativo, le restrizioni sugli spostamenti dei cittadini hanno creato il terreno fertile per compiere finalmente quel decisivo passo verso una completa transizione digitale nell’ambito della Pubblica Amministrazione. In altre parole, la pandemia è stata l’occasione per promuovere il c. d. smart working e per digitalizzare i processi burocratici.

Sembrerebbe questa, dunque, l’unica ed isolata buona notizia legata alla pandemia, se non fosse che l’opera di digitalizzazione ha coinvolto in maniera indiscriminata ogni settore della Pubblica Amministrazione, compresa la giustizia penale, ambito, tuttavia, assolutamente peculiare rispetto agli altri, in cui operano ed emergono, infatti, prerogative e diritti che coinvolgono la persona nella sua sfera più intima e delicata: la libertà personale.

In questo senso, la possibile trasformazione del processo penale in un mero rito cartolare pone inevitabilmente in serio pericolo le garanzie difensive alla base del sistema penale italiano, ambito nel quale il contraddittorio ed il dialogo fisico tra le parti - Giudice, Pubblica Accusa, Difensore e imputato - costituiscono elemento imprescindibile ed insostituibile.

La questione, già ampiamente dibattuta durante la prima fase dell’emergenza sanitaria, è riemersa in questi giorni alla luce di quanto descritto dal Decreto Ristori bis, che prevederebbe, se confermato in sede di conversione - nuovamente l’eliminazione in forma fisica delle figure dei magistrati e degli avvocati dall’aula, in relazione - per ora - al secondo grado di giudizio.

Una simile previsione avrebbe il fine ultimo di preparare il terreno ad un futuro completamente cartolare e, per ciò privo di oralità ed immediatezza, per il processo penale. Un simile sistema di ricerca della verità è, quindi ovviamente, collegato alla presenza fisica: come si può pensare, ad esempio, di rilevare se un teste sta dicendo la verità su un fatto, senza la presenza fisica del teste stesso?

Come già detto dallo scrivente in occorrenza della prima fase emergenziale, privare il processo penale di quei requisiti essenziali per l’accertamento della verità mina dall’interno il sistema di garanzie costruito a tutela delle parti processuali; il sistema italiano si basa, infatti, sull’accertamento della verità per il tramite della regola d’oro, come recitava l’indimenticato professor Cordero, della formazione della prova in dibattimento, di fronte dell’esame, del controesame e del riesame delle parti. Se fino a ieri si è stati attenti a non cogliere i frutti dell’albero avvelenato, a non far passar prove se non acquisite nei termini di legge, cosa accadrebbe col filtro informatico?

Un procedimento penale a distanza rappresenta, peraltro, anche la negazione della collegialità, soprattutto per l’impossibilità di vederne, in tal maniera telematica - garantita la segretezza, che è un presidio alla libertà del giudice.

Sempre in questa rubrica lo scrivente si era già espresso mutuando figure care al mondo militare: concedere spazi in tempi di guerra equivale a perderli, per sempre.

Anche considerando il delicato momento storico che stiamo vivendo, il processo penale fisico non può essere sacrificato neanche a fronte dell’esigenza di ridurre il rischio di contagio: i rimedi in tal senso possono essere altri. A titolo di esempio, può essere citata la scelta di creare diverse velocità dei vari procedimenti pendenti, ritardando quelli privi dei connotati di urgenza e dando la precedenza a quelli, viceversa, urgenti. Snellire la presenza solo coi depositi telematici, in tutta Italia, senza dover subire la frustrazione di leggere circolari differenti per ogni Palazzo di Giustizia. Creare un sistema uniforme, per Legge, di ricezione, accettazione ed invio atti, come avviene per il processo civile ma salvaguardando l’oralità, tipica del penalista, ultimo baluardo ed ultimo difensore della Giustizia.