Il paradosso è ormai noto e complica la partita di Piercamillo Davigo, che chiede al plenum del Csm di lasciarlo in carica: il paradosso è che la stesa Avvocatura dello Stato, autrice di un parere richiesto da Palazzo dei Marescialli e tutto sbilanciato per la decadenza del consigliere, potrebbe trovarsi a dover smentire se stessa in un futuro ricorso al Tar, qualora l’ex pm di Mani pulite restasse in carica. Nell’ipotesi in cui il Csm oggi, o al più tardi martedì, decida per la permanenza di Davigo, l’Avvocatura dello Stato potrebbe poi essere chiamata a difendere il Csm nel ricorso eventualmente proposto da parte del magistrato che altrimenti sarebbe subentrato all'ex pm del Pool, il giudice di Cassazione Carmelo Celentano. In un'eventuale causa dinanzi al Tar del Lazio, cioè, la stessa Avvocatura che, interpellata dalla Commissione verifica titoli del Csm, ha appena sostenuto per iscritto la necessità dell’uscita di Davigo, dovrebbe per forza di cose contraddirsi e difendere in  giudizio il Consiglio superiore contro l’eventuale ricorso di Celentano, fino a sostenere la legittima permanenza in carica del togato. Nonostante il quadro politico per Davigo non fosse, inizialmente, sfavorevole, proprio tale cortocircuito istituzionale ha nelle ultime ore intaccato le chances dell’ex pm di Milano. Si vedrà domani, quando inizierà la discussione e forse si arriverà al voto. Non è escluso che la drammaticità della questione allunghi il dibattito fino al giorno dopo. Il calendario fissato dal vicepresidente del Csm David Ermini prevede infatti il possibile proseguimento del plenum su Davigo fino a martedì. Giorno in cui si chiuderanno oltretutto le urne telematiche dell’Anm, aperte da oggi, e che coinciderà anche col settantesimo compleanno per l’ex inquirente di Mani pulite. Poteva essere un dilemma giuridicamente intrigante ma non tanto decisivo politicamente. Invece la tensione c’è ed è giustificata da almeno due aspetti. Innanzitutto, siamo ancora in pieno “caso Procure”. La vicenda cosiddetta “Palamara” tiene ancora nell’angolo l’intera magistratura, nonostante il tentativo compiuto dallo stesso Csm di liberarsi dell'imbarazzo con la radiazione lampo dello stesso Palamara. Come insistono a ricordare i magistrati di Autonomia e indipendenza, la corrente fondata dallo stesso Davigo, il percorso professionale dell'ex pm di Mani pulite «è ben noto, e si identifica con comportamenti irreprensibili e con il fermo contrasto ad ogni forma di illegalità e di scostamento dalle regole sia quando ha svolto funzioni giurisdizionali sia nel passato più recente quale componente del Csm». Anche se poi la nota diffusa venerdì scorso dal coordinamento di “Aei” sostiene che le motivazioni a sostegno di una permanenza di Davigo a Palazzo dei Marescialli sono «tecnico-giuridiche, e non certo di opportunità men che meno politica». L’altro motivo di tensione è la ricordata coincidenza fra la decisione su Davigo e il voto per l’Anm, in corso da stamattina e programmato fino a martedì. Le correnti favorevoli alla decadenza, come Magistratura indipendente, ricaverebbero un ritorno di immagine, tra i magistrati elettori, in caso di decisione del plenum contrario a Davigo. Discorso simmetrico per chi, come la corrente progressista di “Area”, propende per la permanenza: ricaverebbe qualche vantaggio elettorale da una delibera del Csm favorevole al togato. Immagine della magistratura, immagine delle correnti, prestigio e peso dell’interessato. Aspetti che fanno della decisione in arrivo da Palazzo dei Marescialli uno degli snodi più drammatici nella storia recente della magistratura.