A volerla mettere in termini paradossali, l’unica prospettiva di grande coesione, per l’Anm, potrebbe essere compromessa da una mossa del guardasigilli Alfonso Bonafede. «Se la norma sulle sanzioni ai magistrati per il mancato rispetto dei tempi fosse stata definita, nel ddl penale, così come era apparsa nella prima versione del testo, si sarebbe prodotta una reazione talmente forte, da parte della magistratura, che le distanze fra le correnti si sarebbero rimarginate, nonostante la battaglia in corso per eleggere il comitato direttivo dell’Associazione». Ecco, il periodo ipotetico dell’irrealtà è proposto da un magistrato attivo nell’Anm, e riconducibile allo schieramento moderato, che preferisce parlarne in forma riservata. Quel lungo periodo introdotto dal «se» ha una valenza notevole. Perché Bonafede, in realtà, non ha lasciato “nuda” la norma sulle sanzioni. Come anticipato sabato scorso dal Dubbio, il ministro l’ha “vestita” con un correttivo che attenua la portata delle “punizioni”, e che nello stesso tempo smorzerebbe la potenziale rivolta delle toghe. È stato previsto cioè, nel ddl penale, che per gli uffici giudiziari più in difficoltà, con il carico più gravoso, il Csm possa prevedere una sorta di esimente, che esclude sanzioni per pm e giudici. «Con una correzione simile sarà più difficile che l’Anm insorga. E paradossalmente sarà più facile che si divida», osserva sempre il magistrato della componente moderata delle toghe. Una volta che saranno acquisiti i risultati del voto ( si va alle urne telematiche dal 18 a 20 ottobre) ci sono possibilità molto alte che all’interno dell’Associazione nazionale magistrati si crei una scissione. «Avrebbe del clamoroso, certo, ma è ipotesi da non escludere per due motivi. Primo», spiega la fonte riservata, «perché quando è iniziata la crisi legata all’indagine di Perugia, tutti gli altri gruppi lasciarono intendere in modo esplicito che Magistratura indipendente avrebbe dovuto restare “sotto osservazione”. È chiaro che un simile precedente crea una frattura difficilmente riparabile. In secondo luogo proprio “Mi”, che rappresenta la magistratura moderata insieme con Movimento per la Costituzione, il gruppo formato da chi è fuoriuscito da Unicost, ha un rapporto di forte contrapposizione innanzitutto con Area. Soprattutto se l’esito del voto dovesse essere positivo per la lista “Mi- Mpc”, lo strappo rischierebbe di avvicinarsi. Se invece lo schieramento ottenesse un risultato molto sfavorevole, è plausibile che si limiterebbe a un’opposizione di testimonianza e a una traversata nel deserto, in attesa di tempi migliori».

Analisi molto chiara a cui è difficile trovare limiti di tenuta. E insomma, l’ipotesi di una clamorosa scissione fra le toghe pare sul tappeto. Ai motivi segnalati dall’interlocutore sentito dal Dubbio se ne posso o aggiungere altri. Innanzitutto “Mi” e “Movimento per la Costituzione” non si troverebbero da soli nell’eventuale creazione di una “nuova Anm”. C’è infatti una lista che corre alle elezioni del 20 ottobre e che è in piena sintonia con l’ipotesi della svolta traumatica: è “Articolo centouno”, la compagine che a sorpresa ha deciso di sfidare le altre correnti — che sono, oltre a “Mi- Mpc”, Area, Unicost e Autonomia e indipendenza, il gruppo fondato da Piercamillo Davigo. Articolo 101 schiera magistrati non nuovi alla sfida antagonista interna, come Andrea Reale e Giuliano Castiglia, e non resterebbe indifferente a un’ipotesi scissione. Andrà verificato se il nuovo gruppo riuscirà ad aggiudicarsi qualche seggio nel parlamentino dell’Anm. Se cioè lo scandalo del 2019 favorirà chi chiede, come lo schieramento di Reale e Castiglia, «una palingenesi dell’Anm». Certo è potrebbero essere due, i gruppi schierati su una linea di contrappsizione ad Area e Unicost. Mentre “Aei” appare molto condizionata dall’eventuale permanenza di Davigo al Csm, su cui si deciderà nei prossimi giorni.

E un magistrato di Unicost che pure preferisce parlare riservatamente, quasi va oltre l’analisi proveniente dal gruppo moderato: «È difficile fare previsioni sui rapporti fra Anm e governo senza sapere ancora quale forma assumerà il testo del ddl penale. Ma anche se la norma sulle sanzioni venisse mitigata dai poteri derogatori del Csm, è probabile che le spinte verso una scissione, in “Mi”, non si attenuerebbero. Da mesi le voci all’interno dell’Anm indicano un esito simile. La situazione di crisi generale», spiega il magistrato del gruppo centrista, «è tale da non poter escludere che uno “sparo di Sarajevo” qualsiasi apra una lesione nella casa comune dei magistrati».

Difficile comprendere quali conseguenze ne verrebbero rispetto al rapporto con la politica. Però è probabile che partiti, Parlamento e governo non ricaverebbero certo vantaggi, da uno sdoppiamento della rappresentanza togata. Ovvio che i fuoriusciti entrerebbero in concorrenza con l’Anm sul piano dell’intransigenza, nella “dialettica sindacale” con l’esecutivo. Eppure c’è chi sposa un altro pronostico: è il segretario di Area Eugenio Albamonte, che dell’Anm è stato presidente subito dopo Davigo e che, interpellato dal Dubbio, non esita a definire «davvero poco comprensibile la scissione di qualche componente». Il motivo è semplice: «La norma di cui si parla, la sanzione relativa ai tempi, non sarebbe affatto resa innocua dall’ipotesi di derogatorie operate dal Csm. Si salvano i colleghi di qualche ufficio: e gli altri? Sa cosa avverrebbe? Assisteremmo a un fenomeno definibile di “giurisdizione difensiva”. Il giudice consapevole dell’approssimarsi del termine massimo imposto dalla legge per il deposito della sentenza si vedrebbe forzato a revocare i testi a difesa, magari anche quelli dell’accusa, e a pervenire a una pronuncia con minore accuratezza istruttoria di quanto avrebbe voluto. Il procedimento disciplinare non vuole prenderselo nessuno. Idem dicasi per il pm costretto a sfuggire alla tagliola sui tempi massimi consentiti per comunicare la chiusura indagini, e poi esercitare l’azione penale: piuttosto che violarli, opterebbe per un’archiviazione di ripiego, o comunque scaricherebbe sul gup il peso di una valutazione complicata dall’impossibilità di concludere accuratamente l’indagine. Sui rischi della giurisdizione difensiva», ricorda Albamonte, «abbiamo riscontrato attenzione anche da parte dell’Unione Camere penali. Il presidente Caiazza comprende i rischi e condivide la nostra critica». Albamonte può rivendicare una primogenitura, sul punto: denunciò i pericoli delle sanzioni ai magistrati con un articolo pubblicato proprio su questo giornale. «Adesso a me sembra insensato che alcuni, nell’Anm, di fronte a tutto questo, anziché pensare a una battaglia comune, ipotizzino una fuoriuscita. Si tratterebbe di una scelta miope. Mi auguro che non si verifichi». Ma mai come ora la crisi dei magistrati apre uno scenario di fratture impensabile solo fino a pochi mesi fa.