Se si vuole avere idea di cosa potrà significare, per la giustizia, il Recovery fund, bisogna mettere due immagini a confronto. La prima è evocata dalle parole che il guardasigilli Alfonso Bonafede ha affidato ieri a un post su Facebook: «Quando mi sono insediato come ministro, a giugno 2018, a Bari la giustizia veniva celebrata nelle tende: una situazione vergognosa e irrispettosa dei diritti dei cittadini e del lavoro di magistrati, avvocati e personale amministrativo». Il secondo fotogramma rimanda di nuovo al dicastero di via Arenula, che ieri ha siglato la convenzione con l’Agenzia del Demanio per la realizzazione del “Parco della Giustizia” nel capoluogo pugliese. Un passo importante per restituire, a una delle più importanti città italiane, le strutture attese da lustri. L’opera, come spiega il guardasigilli, costituisce «uno dei principali progetti realizzati dal ministero in vista del Recovery plan: per il primo lotto», oggetto appunto della stipula di ieri, «sono già stati stanziati 95 milioni di euro». Ed è chiaro che le risorse straordinarie assicurate dall’Europa saranno un carburante decisivo per la rapidità e la qualità dell’opera.

Ecco, con la firma per il polo giudiziario di Bari si ha un’idea plastica, istantanea, dei benefici che il fondo Ue potrà assicurare per i tribunali e per chi concretamente vi opera. A cominciare dagli avvocati, protagonisti a Bari di un impegno che definire tenace sarebbe riduttivo: «È un indiscutibile passo avanti», spiega al Dubbio il presidente dell’Ordine degli avvocati di Bari Giovanni Stefanì, «e anzi ci chiedevamo da tempo perché si tardasse nella firma della convenzione. Credo che per l’avvocatura barese sia giusto rivendicare il merito di aver esercitato, in questi due lunghi anni, una pressione costante, spesso in piena sintonia con il sindaco Decaro. L’auspicio è che la destinazione, al Parco della Giustizia, di quote del Recovery fund possa trascinare con sé un particolare valore aggiunto connesso all’eccezionalità di quelle risorse: vale a dire la procedura commissariale e straordinaria. Se non ci fosse», nota Stefanì, «i tempi rischierebbero di diventare comunque troppo lunghi, tra gara europea per la progettazione e gara interna per l’esecuzione. La firma tra ministero è Demanio è un segnale concreto per l’avvio dell’iter. Crediamo che debba diventare il presupposto per l’individuazione di un commissario e di una procedura straordinari».

Finora il ministro Bonafede non si è mostrato favorevole all’ipotesi. Di certo tiene molto a fare del polo barese un esempio di risposta forte ai gravissimi limiti dell’edilizia giudiziaria nazionale. Non a caso, nell’audizione alla Camera della scorsa settimana, ha indicato proprio nelle «infrastrutture sia materiali che digitali» l’asset decisivo nel Recovery plan della giustizia. «Dopo aver assicurato in via provvisoria una sistemazione dignitosa agli uffici giudiziari», assicura, «adesso l’obiettivo è consegnare alla città di Bari, in tempi ragionevoli, un Polo della Giustizia degno di questo nome».

Nella nota di via Arenula si forniscono alcuni dettagli: la convenzione «prevede che l’Agenzia provvederà all’espletamento delle gare d’appalto necessarie all’affidamento dei servizi tecnici e delle opere». La location è già individuata da tempo ed è «l’area delle caserme dismesse “Capozzi” e “Milano”». La convenzione, materialmente sottoscritta dal direttore generale delle Risorse materiali di via Arenula Lucio Bedetta e dal direttore del Demanio Antonio Agostini, disciplina «la programmazione, la progettazione, l’esecuzione e il collaudo delle opere riguardanti il Primo Lotto funzionale del nuovo polo giudiziario barese». Tra gli interventi previsti, «la demolizione degli edifici preesistenti, la bonifica dell’area e la realizzazione delle opere di urbanizzazione». Il ministero ricorda anche che la “prima pietra virtuale” risale al gennaio 2018, alla firma del Protocollo d’intesa non solo col Demanio e le infrastrutture, ma anche con i vertici del distretto di Corte d’appello barese.

Di fatto, è un intervento epocale. Che davvero potrebbe fare del Recovery fund non un sollievo dall’emergenza ma l’occasione per assicurare strutture degne di un Paese europeo.