Ci sono due modi di vedere la tagliola delle sanzioni a giudici e pm “lenti”. Uno riguarda la risposta alla domanda di giustizia: sentenze più tempestive ma non precedute da un’istruttoria e valutazioni accurate sono peggio di sentenze tardive, nel processo penale come nel civile, e il principio è condiviso da avvocati e magistrati. La seconda prospettiva è stata messa sul tavolo ieri, con una mossa politicamente astuta, dall’Anm: auditi dalla commissione Giustizia della Camera sul ddl penale, il presidente Luca Poniz e il segretario Giuliano Caputo hanno detto che «la previsione di un ulteriore illecito disciplinare» legato alla tardiva chiusura delle indagini «mette il pm nel timore di incorrere in sanzioni e rischia di creare una giurisdizione difensiva».

Il riferimento è innanzitutto alla norma inserita nella riforma secondo cui il pm è passibile di procedimento disciplinare qualora non metta gli atti d’indagine a disposizione del difensore nel giro di 3 mesi (che però diventano 15 per i reati di mafia) una volta scaduti i termini massimi consentiti per l’investigazione. E una volta compiuta tale “discovery”, il pm rischia sanzioni nel caso in cui non decida, entro 30 giorni, fra richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione. Due ipotesi che la magistratura associata respinge da mesi, al pari delle sanzioni per i giudici che non depositano le sentenze entro tempi predeterminati. Ora l’Anm spiega il proprio, legittimo no anche col rischio di una «giurisdizione difensiva». Paventa cioè pubblici ministeri che, pur di sottrarsi alla mannaia, opteranno dritti per l’archiviazione, piuttosto che tardare in modo da raccogliere elementi in grado di convincere il gup a mandare a processo la persona accusata. La scelta compiuta ieri in audizione da Poniz e Caputo mira a insinuare tra i deputati di maggioranza, e certamente tra i 5 Stelle, il timore di Procure spuntate, remissive nel perseguire i reati. E le componenti d’ispirazione più restrittiva potrebbero non essere insensibili alla suggestione.

Caputo ha messo ancora un’altra pulce nell’orecchio dei commissari: se è vero che la questione dei tempi del processo «è molto sentita», esistono però ulteriori rischi rispetto alla succitata «discovery degli atti» In molti casi «non crea nessun problema», ha spiegato il segretario dell’Anm, «ma come regola generalizzata può essere pericolosa». Determinerebbe un «depotenziamento sui reati di criminalità organizzata». Altro segnale che sembra incoraggiare una revisione del ddl proposto dal guardasigilli Alfonso Bonafede, e varato dal governo poco prima del lockdown di marzo.

L’Anm si è espressa positivamente sul lodo Conte bis, inserito sempre nel ddl penale per modificare il blocca- prescrizione entrato in vigore a Capodanno: «Avevamo già evidenziato l’irragionevolezza della non distinzione tra condanna e assoluzione in primo grado», ha detto Poniz, «ora con favore notiamo la correzione della previsione, con cui si modifica l’interruzione della prescrizione solo a partire dalla condanna». Parole di ottimismo sono arrivate dal procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho, a sua volta sentito dalla commissione presieduta dal 5S Perantoni: la riforma, ha detto, «costituisce sicuramente uno strumento capace di velocizzare i processi e il nostro sistema penale».

Sempre ieri è arrivata conferma della scelta compiuta da Bonafede sulla destinazione dell’altro ddl strategico, quello sul Csm: è stato incardinato alla Camera, numero dell’atto 2681. Andrà ovviamente in commissione Giustizia. Dove il lavoro, nei prossimi mesi, si annuncia impegnativo anche dal punto di vista degli equilibri politici.