Avevano avuto un rapporto orale durante i colloqui nel carcere di Cremona, una cosa illegale e per questo hanno patteggiato una pena di sei mesi ciascuno. Il fatto è accaduto il 17 aprile del 2018, quando la donna, una 33enne straniera, si era recata in carcere insieme al figlio minorenne per far visita al convivente, 40 anni, con una condanna da scontare per un residuo di pena. Mentre erano a colloquio nell’apposita stanza (il minore era in una sala attigua), tra i due si era consumato un rapporto orale. C’erano le telecamere e la coppia aveva cercato di nascondere il rapporto spostandosi dall’inquadratura e coprendosi con la borsa di lei, ma senza fare i conti con la telecamere installata più in alto che li aveva ripresi. Il detenuto, che attualmente è in libertà, ha sempre negato il rapporto intimo con la compagna, dicendo che si erano solo abbracciati. Alla fine hanno patteggiato, perché la denuncia era comunque arrivata.

Ma questo ennesimo “scandalo”, riporta ad una questione tuttora irrisolta: il divieto di avere rapporti sessuali in carcere. Quel diritto all’affettività negato solo da noi, mentre il resto dei Paesi europei sono all’avanguardia già da tempo. Eppure, diverse sono le proposte di legge sul tavolo, compresa l’ultima – in ordine cronologico – proveniente dalla regione Toscana lo scorso febbraio. Il primo firmatario è stato Leonardo Marras, capogruppo Pd, mentre i consiglieri di Forza Italia e Lega Nord hanno espresso parere contrario. Tale proposta di legge andrebbe a colmare il vuoto della riforma dell’ordinamento penitenziaria approvata a metà dallo scorso governo giallo verde. La proposta interviene appunto sulle norme che regolano l’ordinamento penitenziario. All’articolo 28, che regola i rapporti con la famiglia, si aggiunge il “diritto all’affettività” mettendo un comma che recita: «Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tal fine i detenuti e gli internati hanno diritto ad una visita al mese della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore con le persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti penitenziari senza controlli visivi ed auditivi».

Tale norma in realtà era prevista dai decreti attuativi della riforma dell’Ordinamento penitenziario, e già le polemiche non erano mancate, soprattutto da parte di alcuni sindacati della polizia penitenziaria. È il diritto alla sessualità in carcere, ma che poi è stato completamente oscurato e non più contemplato dal nuovo ordinamento penitenziario. Un tema, quello dell’affettività, che era stato sviscerato durante gli Stati generali per l’esecuzione penale voluto dall’ex ministro della giustizia Andrea Orlando.

Il gruppo di lavoro coordinato da Rita Bernardini del Partito Radicale aveva affrontato il problema di come assicurare all’interno del carcere uno spazio e un tempo in cui la persona detenuta possa vivere la propria sessualità. Ne è scaturita quindi la proposta di un nuovo istituto giuridico costituito dalla “visita”, che si distingue dal “colloquio”, già previsto dalla normativa, poiché garantirebbe al detenuto la possibilità di incontrarsi con chi è autorizzato ad effettuare i colloqui senza che vi sia un controllo visivo e/ o auditivo da parte del personale di sorveglianza. Tutto questo è stato poi affossato dallo scorso governo legastellato. Si riuscirà a superare il tabù del sesso in carcere?