Manca pochissimo alla cerimonia di premiazione della 77esima Mostra del cinema di Venezia, un’edizione di qualità, centrata sulla presenza femminile e virtuosa in termini di sicurezza, ordine e silenzio.

Nonostante i dubbi iniziali sulle distanze da mantenere e proiezioni a cui poter accedere solo previa prenotazione del biglietto, pubblico e stampa fanno fronte comune nell’affermare che anche in questi tempi, speriamo di imminente ritorno alla normalità, alcune modalità acquisite possano essere una soluzione destinata a restare. Gli ultimi film in passaggio a Venezia 77 sono anche tra i più attesi, in primis l’opera prima di Pietro Castellitto, figlio d’arte di papà Sergio e mamma Margaret Mazzantini che dimostra uno sguardo innovativo, cinico e caustico sulla realtà che virtualmente lo porta a braccetto con gli altri esponenti di una new wave del cinema italiano capitanata dai Fratelli D’Innocenzo. “I predatori”, questo il titolo dell’opera di Pietro Castellitto è molto di più della sua descrizione.

Siamo nella giungla romana dove due famiglie, sulla carta diversissime e incompatibili, a partire dalla “classe sociale”, in realtà si rivelano essere più connesse di quanto immaginano.

A fare da perno intorno al quale ruota tutto, il personaggio che Pietro Castellitto affida a se stesso perché molto autobiografico, Federico, un giovane sopraffatto dalla frustrazione. Ne parla dettagliatamente il regista: «Alla fine penso che soprattutto le opere prime scritte da giovani nascano da dei disagi dei sentimenti e non dall'idea di esprimere o imporre un messaggio: il sentimento che muove il film è il sentimento di Federico, unico personaggio veramente autobiografico, una frustrazione che riguarda l’impossibilità di reinventare la modernità non in senso retorico ma di non avere la possibilità di manometterla».

«Essere felici è un mestiere difficile, un mestiere da Predatori» scrive Castellitto nelle note di regia. Tutti sono predatori, nessuno è come sembra ma mentre la classe proletaria nel film alla fine paga per i suoi misfatti quella borghese invece la passa liscia: «C’è una classe che per essere predatrice necessità delle armi e un’altra a cui non servono» conferma Castellitto - ha delle armi molto più raffinate e funzionali in questa epoca. Io dico sempre che pur mettendo dei proletari fascisti in scena, il film non è antifascista ma antiborghese. Credo che una certa tendenza a schiacciare l’altro, disprezzandolo se non appartiene alla tua stessa campana, appartiene molto più alla famiglia borghese dei Pavone che non a quella dei Vismara. I fascisti sono molto colorati, sono come quegli animali che hanno i pigmenti della pelle coloratissimi per far credere agli altri di essere velenosi ma ormai non ce l'hanno più il veleno». Ancora Italia al Lido per la celebrazione in forma di documentario di un cantautore italiano amatissimo nel mondo: Paolo Conte. Giorgio Verdelli, regista napoletano, porta fuori concorso Paolo Conte, “Via con me”, documentario omaggio che riflette sul carattere dell’artista tra musica e vita privata. Purtroppo non presente alla Mostra, Paolo Conte lascia un messaggio di soddisfazione verso il documentario a lui dedicato: «Questo docufilm mi ha messo di fronte ad un visione della mia carriera, della mia vita». «Quanti sogni e quanto lavoro soprattutto.

Mi sono sempre sentito libero di esprimermi con il mio stile che poi in realtà non era altro che l’amministrazione dei miei difetti, e mi è andata bene - conclude Conte - ho un grande pubblico che riconosco in tutto il mondo e ho la fortuna di godere del rispetto dei miei colleghi e questo mi fa grande piacere».

Era stato tra i primi film annunciati in concorso alla Mostra, “Nomadland” di Chloe Zhao con Frances McDormand ed ora finalmente il titolo condiviso con i Festival di Telluride, Toronto e New York, sulla vita di una donna che decide di vivere in un piccolo camper vagabondando per gli Stati Uniti, è sulla bocca di tutti poiché già in direzione Oscar. Con la colonna sonora di Ludovico Einaudi Nomadland è poesia sulla vita e la morte e divide il pubblico proprio in base alla sua visione sull'esistenza umana.

Il film mette d’accordo soprattutto sulla performance di Frances McDormand che si posiziona di diritto nel gruppo delle possibili coppe Volpi insieme a Vanessa Kirby per “The World to come” e “Pieces of a woman” e Jasna Ðuric ipcer “Quo vadis, Aida?”.

Se l’ultimo giorno presume un inevitabile toto Leone, poche certezze se non che le donne ne sono uscite già vincitrici e che il Leone potrebbe essere donna. A giudicare dai voti della stampa nazionale e internazionale, i titoli che dobbiamo aspettarci sul podio sono la sorpresa del festival, “The world to come” di Mona Fastvold, “Miss Marx” di Susanna Nicchiarelli, “The Disciple” di Chaitanya Tamhane e le new entry “Nomadland e Nuove Orden” di Michel Franco.

Una speranza va all’emozionante opera seconda di Emma Dante, “Le Sorelle Macaluso”, già premiato con il Pasinetti dai Giornalisti Cinematografici Italiani anche per la migliore interpretazione femminile che va all’intero cast delle sue splendide protagoniste. Importante sottolineare come anche in quest’anno così sui generis, la stampa anglofona si sia totalmente opposta a quella italiana per alcuni titoli, come accade ormai di routine. Miss Marx in particolare sembra essere stato criticato, sulla scia anche delle nuove regole di inclusione dettate dagli Oscar, per le contraddizioni che convivono nella sua protagonista, la figlia di Karl Marx, Eleanor, esempio virtuoso nella vita pubblica quanto donna “schiava” del sentimento in quella pubblica.

Con l’augurio che il cinema continui a sentirsi invece libero di rappresentare ogni sfumatura senza pregiudizi, aspettiamo impazienti la cerimonia di chiusura dove a fare gli onori di casa ci saranno nuovamente il carisma di Anna Foglietta ed un po’ di commozione per essere arrivati alla fine di un viaggio cinematografico che molti credevano impossibile.