La giustizia riparte, ma zoppicando. Con gli avvocati infuriati, da un lato, per le lunghe file, gli accessi su prenotazione alle cancellerie e i processi rinviati di anni e i cancellieri, dall’altro, sul piede di guerra per la poca chiarezza sulle modalità di lavoro agile. In mezzo, invece, ci sono i primi casi di contagio nei Tribunali, con la conseguente chiusura dei Palazzi di Giustizia e il miraggio di un pieno ritorno alla normalità. Dopo i casi di Roma (un funzionario) e di Milano (un magistrato), oggi i contagi registrati sono stati due: uno ad Oristano e uno a Terni. Nel tribunale sardo a risultare positivo è stato un dipendente, ora in isolamento domiciliare, con conseguente tampone per tutti i colleghi. E in attesa della sanificazione degli uffici, il presidente del Tribunale ha sospeso le attività, ad esclusione di quelle relative agli atti urgenti. Sempre chiusi anche gli uffici del Giudice di pace, che nei giorni scorsi hanno registrato tre casi di positività. Nel tribunale umbro, invece, a risultare positivo è stato un avvocato civilista. In assenza di informazioni precise sui suoi contatti, il presidente del Tribunale ha sospeso cautelativamente le attività giudiziarie di oggi, escluse quelle urgenti, che verranno gestite «in condizioni di sicurezza fuori dai locali degli uffici giudiziari», in attesa della sanificazione degli uffici. Ma i problemi della ripresa sono tanti. A Milano, ad esempio, gli avvocati lamentano file immense e udienze affollate, in barba alle misure anti Covid. «Mentre da mesi si discute di classi pollaio e di scaglionare gli ingressi degli studenti - segnala al Dubbio l’avvocato Cinzia Giambruno -, sui posti di lavoro e nei negozi anche piccoli ci si organizza per evitare affollamenti, oggi la seconda Sezione Penale del Tribunale monocratica ha pensato bene di fissare ben nove udienze alle 9 e poi un’altra ventina dalle 9.45, a distanza di 15 minuti l'una. L'ovvio risultato è che siamo tutti ammassati in corridoio. E ciò, tralasciando ogni considerazione sul rispetto delle parti, in barba a ogni norma di prudenza. Altra notazione: alle 11.30 (ovviamente) non hanno ancora finito i processi delle 9.30. E poi si parla di riforma della Giustizia». Ed è proprio di oggi il caso del maxi processo sulle tangenti Atm, celebrato in un’aula bunker che contava la presenza di circa 100 persone tra avvocati, assistenti, imputati, magistrati e cancellieri. Risultato: l’incidente probatorio è slittato ad altra data, in attesa di trovare un’aula più capiente. Dal ministero della Giustizia, intanto, arriva un primo, sommario resoconto dei risultati delle misure applicate durante e dopo il lockdown. La percentuale media di personale in presenza negli uffici, recita la circolare del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria del 4 settembre scorso, è passata da 27,02 per cento (periodo dal 24 febbraio al 30 aprile) al 71,33 per cento al 31 luglio. E a luglio il 21 per cento circa del personale è stato incluso nella rotazione dei servizi, mentre oltre il 70 per cento degli uffici ha fatto ricorso all’orario flessibile. Le misure di prevenzione sanitaria e di sicurezza sono costate, attualmente, 20 milioni di euro, utilizzati per l’acquisto di dispositivi di protezione, materiale igienizzante, cartellonistica, paratie e attività di sanificazione. L’auspicio del ministero è ora un ritorno alla normalità, caratterizzato, però, da un ricorso allo smart working che non sia più solo connotato da una logica emergenziale, ma «calato nella concreta realtà operativa dei singoli uffici, previa individuazione della più limitata quota della metà del solo personale impiegato in quelle attività concretamente suscettibili di essere svolte al di fuori della sede di lavoro». Insomma, il capitolo è ancora aperto e verrà affrontato venerdì, nel corso del tavolo con le sigle sindacali. Le stesse che, venerdì scorso, hanno lamentato come «salvo poche eccezioni la direttiva (sul lavoro agile semplificato, ndr) è stata completamente ignorata, senza che l’amministrazione centrale muovesse un dito, in quanto gli uffici si sono comportati come se la crisi pandemica fosse terminata e come se la normativa, di legge e di regolamento, sulla materia non esistesse. Gli stessi infatti hanno provveduto sic et simpliciter a revocare lo smart working obbligando tutti i lavoratori alla prestazione lavorativa on site». E mentre i cancellieri invocano sicurezza, a Pavia il Giudice di pace ha pensato di risolvere, laddove possibile, il problema alla radice. Basta processi in presenza, addio anche alle udienze penali da remoto: tutto si svolgerà in modalità cartolare.