STEFANO BARGELLINI*

La Scuola superiore della magistratura cura la formazione e l’aggiornamento dei giudici e dei pubblici ministeri. Agli incontri sono ammessi alcuni avvocati, indicati dal Consiglio nazionale forense. Qualche anno orsono, partecipai a quattro giorni dedicati al diritto bancario.

Corso eccellente: relatori preparati, uditori attenti, gruppi di lavoro per i risvolti pratici, pause cadenzate. Al termine di ogni giornata gli organizzatori domandavano di compilare una scheda di valutazione. I miei voti erano sempre alti: una sola, pesante, insufficienza alla relazione di un docente universitario.

Il vicino di sedia, giudice di mezz’età, mi invitò ad essere più accorto: “Fossi in te non lo farei, cambia e metti almeno la sufficienza”. Pensavo scherzasse. Non scherzava: “Così irriti gli organizzatori che poi te la fanno pagare”. Dopo qualche istante compresi l’equivoco e tranquillizzai l’interlocutore: non ero un collega ma un avvocato che nulla poteva temere dai magistrati che avevano allestito il seminario. Ne convenne, rassicurato di aver trovato la spiegazione di tanta imprudenza. pisodio minimo che tuttavia ricordo come il principale insegnamento di quel convegno. E dal quale i lettori sapranno trarre gli appropriati spunti di riflessione, senza necessità di suggerimenti. Inghiottita la pillola, resta il mal di testa. L’indipendenza della magistratura è principio costituzionale. L’indipendenza nella magistratura e l’indipendenza dalla magistratura devono ancora trovar casa. Dal 1992 fanno quasi trent’anni.

*** È tornata di moda la riforma del sistema elettorale dei rappresentanti al Consiglio superiore della magistratura. La questione non parrebbe da prima pagina ma tutto quanto riguarda giudici e procure assume nel nostro paese un’importanza straordinaria.

Le correnti della magistratura associata avversano il criterio del sorteggio. Al contrario, designare i togati al Consiglio superiore con l’estrazione a sorte fra tutti i magistrati italiani sarebbe la soluzione più aderente alla realtà del nostro sistema giudiziario. Sul perché, ho un’opinione personale.

Ogni controversia ha un giudice naturale. In base ai criteri tabellari ( cioè alle regole per la ripartizione degli affari) la lite deve essere automaticamente assegnata alla persona di un giudice. Immaginiamo l’avvio di una causa civile: quando l’avvocato iscrive il procedimento a ruolo ( cioè investe l’ufficio giudiziario della nuova controversia) il sistema informativo dell’ufficio trasmette il nome del magistrato che tratterà la lite. Non è una formalità.

Come nei titoli di coda dei film, ogni riferimento a persone esistenti o fatti realmente accaduti è puramente casuale ed anche le attribuzioni di genere sono di pura fantasia. La giustizia distributiva può riservarvi l’ottima giudice 1: risoluta e garbata, ha il senso del diritto ( dote non sempre diffusa fra giudici e avvocati). Studia gli atti e tratta argomenti differenti con la stessa naturale perizia tecnica. Scrive sentenze accurate e tempestive. La fortuna è notoriamente cieca e dunque potreste leggere il nome della giudice 2: sempre scortese, non dà mai l’impressione di aver sfogliato il fascicolo che ha di fronte. La vostra causa, anche se urgente e importante, sarà ripetutamente rinviata e la decisione arriverà con anni di ritardo. Quando verrà depositata, la sentenza sarà casuale e con motivazioni scheletriche. Non per tacitiana sintesi ma per frettolosa trascuratezza. Se, viceversa, scoprirete il nome del giudice 3, potrete tirare un sospiro di sollievo: attento, rispettoso delle parti e dei loro procuratori, condurrà l’istruttoria con pacata consapevolezza e la sentenza sarà coerente ed emessa in tempi ragionevoli. Quanto al giudice 4, non si può dire che sia impreparato o negligente, ma è talmente scontroso e suscettibile che ogni contatto diventa una lotta. L’intemperanza si ripercuote sulle decisioni: difetto di misura non trascurabile in un mestiere che ha per insegna la bilancia.

Potrei continuare, ben oltre il numero dei trenta caratteri di Teofrasto. Ma il significato è chiaro: diversamente da quanto affermano i sergenti di giornata, il rancio non è sempre ottimo e abbondante. E allora, se l’opera che i singoli magistrati svolgono è così diversa e se è la sorte ad assegnare ai cittadini la prestazione esemplare o il servizio mediocre, è coerente che sia egualmente la sorte ad individuare i rappresentanti nell’organismo di governo della magistratura.  Nel 1986 il Partito liberale presentò, con radicali e socialisti, la richiesta di tre referendum per abrogare: a) le norme che impedivano la responsabilità civile dei magistrati; b) le disposizioni sulla Commissione inquirente; c) il sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura. La Corte costituzionale dichiarò inammissibile il quesito sul sistema elettorale del Consiglio superiore. Per i due quesiti ammessi, la consultazione popolare si svolse nel novembre 1987. Con più dell’ 80% dei voti gli italiani abrogarono sia le norme che impedivano la responsabilità civile dei magistrati sia le norme istitutive della Commissione inquirente.

Nella medesima consultazione i cittadini votarono anche altri tre quesiti, proposti dai radicali, riguardanti le centrali nucleari. Anche per i tre quesiti ecologisti i favorevoli all’abrogazione oscillarono attorno all’ 80%.

Le centrali nucleari italiane vennero spente. Viceversa, i magistrati italiani continuarono a sottrarsi alla responsabilità civile. Nel 1988 il Parlamento approvò a larga maggioranza il disegno di legge predisposto dal guardasigilli Vassalli. La norma era fatta per non funzionare e non funzionò. O forse funzionò perfettamente: in trent’anni le condanne dello Stato in luogo dei responsabili sembrano essere meno di dieci, sempre senza conseguenze patrimoniali per i magistrati interessati. Né la riforma del 2015, conseguente alla condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea, ha modificato la condizione di sostanziale immunità.

*** I fuoriclasse non devono guardare a terra per sapere dove è il pallone e Alfredo Biondi non aveva bisogno di leggere un foglio scritto per parlare e convincere. Era la campagna referendaria del 1987, non ricordo dove e quando ma posso citare a memoria perché le parole mi sono rimaste impresse e perché sulla responsabilità civile dei magistrati non ho mai sentito argomenti più semplici e definitivi: “Un poliziotto di vent’anni, con la licenza media, una formazione limitata, uno stipendio modesto, deve decidere in pochi istanti se usare la pistola che porta alla fondina e risponde, anche davanti al giudice civile, dei comportamenti gravemente colposi in cui sia incorso nella concitazione degli eventi. Perché un magistrato, adulto, laureato, vincitore di un concorso prestigioso, con un ruolo autorevole nella società, con uno stipendio decoroso, seduto alla scrivania con il tempo e il modo di ponderare le decisioni, non dovrebbe rispondere di fronte al giudice civile degli errori commessi con colpa grave?”.

Ecco, appunto. Ciao Alfredo.

* Avvocato