La Corte Europea di Strasburgo ( Cedu) ha chiesto al governo italiano di fornire al detenuto in alta sicurezza che ha tentato quattro volte il suicidio, la necessaria sorveglianza e cura psichiatrica in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza di Bari sull’istanza della detenzione domiciliare. Udienza che si terrà il prossimo primo ottobre. Un braccio di ferro tra il governo e i legali del detenuto, gli avvocati Michele Passione, Marina Silvia Mori ed Eustachio Claudio Solazzo, alternato da chiarimenti governativi ( dove si minimizzavano i rischi suicidari del recluso) e contro osservazioni dei legali che alla fine sono culminate con la decisione del 28 agosto scorso da parte della Corte Europea. Una decisione, ricordiamo, che se non resa esecutiva dal governo, potrebbe tramutarsi in una violazione dell'articolo 34 della Convenzione. Parliamo della procedura 39 ( questo è il tipo di richiesta prevista dal regolamento Cedu), la quale è straordinaria e viene attivata allo scopo di ottenere una misura provvisoria e urgente in casi particolari dove è a rischio la vita delle persone. Non c’è stata la misura provvisoria come i legali del ricorrente si aspettavano, ma resta il dato oggettivo che la Cedu ha recepito la gravità della situazione nonostante lo Stato italiano ha teso a minimizzare. Una situazione, quella del recluso, diventata paradossale a causa di provvedimenti discutibili da parte del magistrato di sorveglianza che non ha concesso la detenzione domiciliare “in deroga” visto che recentemente la Consulta ha equiparato la salute mentale con quella fisica. L’anno scorso, infatti, la Corte costituzionale ha esteso l’applicabilità della detenzione domiciliare “in deroga” anche ai casi di grave infermità psichiatrica sopravvenuta durante la carcerazione. Ci sono stati, però, ritardi da parte del Dap nel trovare una sistemazione e rifiuti da parte delle articolazioni psichiatriche di vari istituti penitenziari, oltre ai tentativi di suicidi, l’ultimo accaduto proprio al carcere di Spoleto.

La difesa, nel frattempo, ha presentato una nuova istanza di detenzione domiciliare in deroga, ma nell’udienza del 2 luglio scorso l’articolazione psichiatrica di Spoleto non ha trasmesso alcuna documentazione di aggiornamento, nemmeno per dichiarare di non avere completato l’osservazione. Per giustificare il ritardo, alla Cedu è stato riposto che in buona parte è dovuto dal prolungato periodo del lockdown connesso alla pandemia. Ma i legali hanno prontamente osservato che l’articolazione psichiatrica di Spoleto è stata individuata come luogo di destinazione per il recluso fin dal gennaio scorso, quindi prima del lockdown. Questo per quanto riguarda l’ultimo periodo, ma ancora prima – negli altri penitenziari dove il detenuto psichiatrico aveva tentato tre suicidi – il governo non ha fatto nulla per proteggerlo e, secondo le osservazioni fatte dai legali, non ha dato spiegazioni alle domande poste dalla Cedu sul merito. Infatti le informazioni richieste dalla Cedu concernevano tutto il periodo detentivo patito dal ricorrente, che – hanno sottolineato gli avvocati – già da settembre 2019 avrebbe dovuto essere trasferito in una adeguata articolazione psichiatrica. Quindi la Cedu non ha chiesto solo le informazioni riguardanti l’ultimo periodo che il recluso ha trascorso nel carcere di Spoleto.

Tra le altre risposte governative, c’è una in particolare che fa riflettere e forse rispecchia fedelmente la cultura carcerocentrica. Per il governo una condanna definitiva impedirebbe l’esecuzione della pena fuori dal carcere, quando – come hanno ben osservato gli avvocati nella replica alle risposte governative – «la disposizione citata ( detenzione domiciliare “in deroga”) si riferisce proprio ( né potrebbe essere altrimenti) alle gravi condizioni di salute, oggi estese a quelle di natura psichica», che consentono appunto anche la scarcerazione dei condannati in via definitiva. In oltre 13 mesi lo Stato italiano non è stato, quindi, in grado di esaminare compiutamente la situazione del detenuto. D’altronde è stata questa la motivazione per la quale gli avvocati difensori Michele Passione, Marina Silvia Mori ed Eustachio Claudio Solazzo hanno presentato la richiesta urgente alla Corte europea. Quest’ultima ha quinti intimato lo Stato Italiano di proteggerlo e curarlo in attesa della decisione sull’istanza della detenzione domiciliare.