La democrazia partecipativa ( e deliberativa) in materia ambientale conosce nuove sperimentazioni in Francia, anche sulla scia della rivolta dei gilets jaules. Si tratta della proposta, votata il 21 giugno 2020 dalla Convention Citoyenne pour le Climat

( formata da 150 cittadini francesi estratti a sorte), e quindi presentata al Governo nazionale, di sottoporre a referendum popolare due quesiti. Il primo riguarda l’inserimento in Costituzione del principio della lotta al cambiamento climatico. Il secondo è relativo alla previsione del nuovo crimine di ecocidio.

Se non è dunque contemplato l’intervento del Parlamento, come esige la procedura referendaria, si pongono questioni per il delitto di ecocidio, per la configurazione del quale deve comunque intervenire una legge parlamentare, tenuto altresì conto del fatto che finora nel sistema costituzionale francese mai un quesito penale è stato sottoposto a referendum. Ciò che è necessario, infatti, è la modificazione del codice penale. Inoltre, tra le materie che non sono sottoponibili nell’ordinamento francese a consultazione referendaria sono comprese anche le politiche economiche, sociali o ambientali della Nazione e dei servizi pubblici che vi concorrono, con la conseguenza che il crimine di ecocidio potrebbe ricondursi alle politiche ambientali, con esclusione del referendum. D’altro canto, le innovazioni introdotte con referendum non sono sindacabili dal Conseil constitutionnel, e quindi la lotta al cambiamento climatico può essere inscritta in Costituzione al di fuori del procedimento di revisione costituzionale, mentre per il delitto di ecocidio appare preferibile il percorso legislativo ordinario. Se, poi, la lotta al cambiamento climatico fosse inserita nella Costituzione, il diritto dell’ambiente diventerebbe un diritto dell’uomo, suscettibile di essere invocato in sede di questione prioritaria di costituzionalità, nella misura in cui si volesse sostenere che una legge vigente viola i diritti riconosciuti dal dettato costituzionale.

La legittimazione democratica, ovvero dal basso, delle decisioni pubbliche ne risulta indubbiamente rafforzata. La deliberazione finale, però, non spetta ai proponenti, ma, nel sistema francese, al Governo se si tratta di regolamento, al Parlamento nel caso della legge, nonché al popolo nell’ipotesi di consultazione referendaria.

Quale insegnamento si può trarre, dall’esperienza francese, sul piano comparativo? Che la democrazia diretta rafforza ma non sostituisce la democrazia rappresentativa, che occorre altresì cercare una sintesi tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa per affrontare la crisi di legittimazione, che gli strumenti di democrazia partecipativa riguardano ormai non soltanto il diritto amministrativo ma intercettano ( per ora in maniera embrionale) l’ambito del diritto costituzionale, che sembra emergere una terza forma di governo rappresentativo ( o “democrazia del pubblico”), e che tutto ciò vale anche in relazione a una nozione piuttosto controversa quale quella, enucleata nel diritto penale comparato, di ecocidio. Il crimine di ecocidio, infatti, può scindersi in almeno tre fattispecie criminali distinte, vale a dire: “umanocidio”, “biocidio” e “geocidio”. Il primo consiste nell’attentato all’umanità, il secondo alla biodiversità e il terzo alla conservazione dello spazio naturale. Il comportamento di “umanocidio” appare più grave, e quindi astrattamente idoneo ad assorbire le altre due condotte. Ma non si può certamente escludere che un comportamento umano, contrastante con la tutela dell’ambiente, sia nondimeno opportuno o addirittura fondamentale per lo sviluppo – ossia, il miglioramento – delle condizioni di vita di una data comunità/ popolazione. In definitiva, uomo, ecosistema e preservazione dell’ambiente sono certo interconnessi, ma anche potenzialmente confliggenti. L’analisi comparatistica dimostra che le formulazioni concettuali dei “diritti della natura” sono transitate dai formanti dottrinali dei Paesi di common law ai formanti giurisprudenziali ( c. d. Earth Justice, Litigation Strategy) e quindi a quelli legislativi, prima al gradino delle autonomie territoriali e, poi, anche a livello costituzionale nazionale, in contesti di Paesi di civil law come Ecuador ( Cost. 2008) e Bolivia ( Cost. 2009), che hanno inaugurato il “diritto costituzionale della natura”, promuovendo il “buen vivir” nonché adottando come clausola di chiusura il favor naturae. Tuttavia, al di là di ogni ( pur comprensibile) wishfull thinking, rimane il fatto che gli equilibri umani male si prestano a equiparazioni ingenue con gli equilibri ecologici, e questo può valere anche nel caso del riscaldamento climatico ( mentre il discorso potrebbe estendersi alla giustizia ambientale, climatica, ecologica, et similia), fino a rendere incerto lo stesso destino sia normativo che giurisprudenziale dell’ipotizzato ecocidio.