Erano pronti a dirsi sì: il Movimento 5 Stelle da una parte, Nino Di Matteo dall’altra. Prima delle Politiche 2018 si dava per fatto il connubio. Poi è venuto il caso Giletti, la lite con Bonafede, le insinuazioni sgradevolissime sull’incarico da ministro dell’Interno sfumato in coincidenza con i ruggiti contrari dei mafiosi al 41 bis. Ora 5 Stelle e Di Matteo si trovano schierati su fronti opposti a proposito di riforma del Csm: i primi ovviamente stretti attorno alla legge delega del guardasigilli, il secondo contrariato dall’assenza di argini al fenomeno degli incarichi fuori ruolo attribuiti dal governo alle toghe. Ma si tratta di una contrapposizione emblematica, che corrisponde a un contrasto più generale: il partito di Bonafede, autore della riforma, è sempre più chiaramente il partito della linea dura sulle toghe.

A quattro giorni dal varo del ddl in Consiglio dei ministri, continuano ad arrivare conferme della imprevista mutazione anti- toghe compiuta dal Movimento. Nelle ultime ore sono intervenuti il capo politico Vito Crimi, il neoeletto presidente della commissione Giustizia di Montecitorio Mario Perantoni, la vicepresidente della stessa prima commissione Elvira Evangelista. È lei in particolare a soffermarsi sul potere taumaturgico di una riforma in grado di «gettare le basi di una nuova magistratura, che sia più equilibrata» e di tenere «il protagonismo fuori dalle porte della giustizia».

Non sono parole riducibili alla posizione della singola parlamentare. Anche se non ricorre quell’espressione davvero sorprendente, «protagonismo», concetti simili tornano anche nei comunicati di Crimi e Perantoni. Soprattutto torna l’enfasi sul divieto di rientro in magistratura di giudici e pm che scegliessero la politica. Il cosiddetto “stop alle porte girevoli”. Al di là dei dettagli sul sorteggio o sulla distinzione fra chi al Csm svolge funzioni disciplinari e chi si occupa di nomine, il partito del ministro ha deciso di intestarsi l’asserita stroncatura del collateralismo, delle sovrapposizioni fra politica e giudici.

Comunque sia una posizione del genere segna una linea di separazione irreversibile fra i cinquestelle e l’ordine giudiziario. È un punto di non ritorno. Scritto, a ben guardare, nel dna del Movimento, antropologicamente contrapposto a qualsiasi élite. L’ostilità è stata a lungo mascherata da un equivoco: le posizioni rigoriste, giustizialiste dei pentastellati in materia penale hanno fatto credere che potesse crearsi una saldatura, se non con tutta l’Anm, almeno con i settori più intransigenti, favorevoli al diritto penale totale, Davigo in primis. Equivoco alimentato da un paio di episodi. Prima le voci, evidentemente artefatte dal circuito mediatico, di un incarico a Piercamillo Davigo in un eventuale monocolore grillino, circolate ben prima delle Politiche 2018. Poi l’intervento di un magistrato che con l’ex pm di Mani pulite ha fondato e tuttora anima Autonomia e Indipendenza, ossia Sebastiano Ardita, alla convention su Casaleggio della primavera 2017. Non si trattò di un endorsement, né dalla stipula di un’alleanza. Solo di un contributo cortese, certo non da pm organico.

Fatto sta che tra le bizzarrie della discussione sulla magistratura c’è il nuovo ruolo di Bonafede e soprattutto del suo partito. Il ministro ha enfatizzato, subito dopo il via libera al suo ddl, il colpo inflitto alle degenerazioni del correntismo. A ruota sono venuti altri esponenti 5 Stelle, con Perantoni che ha celebrato la riforma mirata «a fare spazio ai candidati indipendenti» e all’ «azzeramento delle correnti». Azzeramento: espressioni che dalle parti del Pd non si sentirebbero mai. Nella linea del sottosegretario Andrea Giorgis e degli altri “delegati” sulla giustizia ( che in futuro vedrà meno impegnato Walter Verini, divenuto, da responsabile di settore, tesoriere del partito) permane la difesa del pluralismo culturale. Si considera intangibile il diritto della magistratura associata a organizzarsi in correnti, a partecipare alle elezioni per il Csm, insomma a esistere. E certamente la differenza dal M5S si percepirà in modo netto durante l’esame parlamentare. Soprattutto sul “sorteggio residuale” previsto per eleggere i togati. All’Anm non piace: «È una risposta demagogica», recita un comunicato diffuso lo scorso fine settimana dalla giunta di Luca Poniz. Che pure esprime «apprezzamento» per le diverse misure della legge delega evocative di «proposte» maturate nel «dibattito interno ai magistrati». Sul sorteggio ci sarà tensione. Non solo fra Anm e Parlamento, ma soprattutto fra Pd, più attento alle ragioni del pluralismo associativo, e Movimento 5 Stelle, che in realtà aveva sposato l’opzione sorteggio fin dall’inizio.

Nella versione della riforma proposta un anno fa da Bonafede a Salvini, c’era il sorteggio integrale dei candidabili. Non ci si poteva proporre come consiglieri superiori se non si faceva parte di una ristretta cerchia di magistrati estratti a sorte: 100 per ciascuno dei 19 collegi. Solo lo scorso autunno, mesi dopo la nascita del Conte 2, Bonafede ha iniziato a concedere le prime aperture: «Se si trova una soluzione altrettanto efficace per limitare il potere delle correnti, sono disponibile a discuterne». Da lì è iniziato il lungo confronto che ha portato all’uninominale a doppio turno, corretto in extremis con il sorteggio dei candidati mancanti qualora in un determinato collegio non ve ne fossero almeno 10 spontanei, oltre che rispettosi della parità di genere.

Tutti dicono di voler lasciare al Parlamento piena facoltà di svolgere le audizioni e di modificare eventualmente il testo del ddl. Bene. Quando toccherà all’Anm farsi audire, arriveranno le critiche già anticipate nella nota di sabato - e prima ancora, al Dubbio, da due leader dell’associazionismo giudiziario come Eugenio Albamonte e Antonio Sangermano. Cosa farà il Pd? Darà ascolto a queste voci? Se sì, si radicalizzerà ancora di più la posizione “anti- correnti” dei 5 Stelle. Che diventeranno in maniera conclamata quello che in realtà sono già abbastanza chiaramente ora: un partito distante dalla magistratura organizzata. In sintonia forse con quei segmenti dell’ordine giudiziario radicalmente ostili alle correnti: nelle ultime settimane si sono raccolti attorno al blog “Uguale per tutti” ( toghe. blogspost. com). Ecco, con loro sì che il Movimento di Beppe Grillo potrà trovarsi in sintonia. Ma certo sarà tramontata per sempre la leggenda dei pentastellati avamposto di un assalto togato al potere. Sarà il contrario: si batteranno per spuntare gli artigli all’associazionismo giudiziario. Giustizialisti sì, ma non per questo pronti a consegnare le leve del comando all’Anm. Perché sempre di un’élite si tratta.