Continua la richiesta di spiegazioni da parte della Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo (Cedu) nei confronti del governo italiano in merito alla vicenda del detenuto recluso al carcere di Venezia che, per il tramite degli avvocati difensori Roberto Ghini del foro di Modena e Pina Di Credico del foro di Reggio Emilia, aveva presentato alla Corte di Strasburgo l’articolo 39, ovvero la misura urgente e provvisoria. Procedura accolta dalla Cedu con tanto di domande poste allo Stato italiano e poi sospesa dopo che il Tribunale di sorveglianza ha fissato subito l’udienza e conclusa con la concessione della detenzione domiciliare. Ricordiamo che parliamo del periodo a rischio di contagio da Covid 19 – non fronteggiato attraverso l’accesso a una misura alternativa alla detenzione nei confronti del recluso – e che alla Cedu si era rappresentata la configurazione della pena contraria al senso di umanità. Storia a lieto fine per il governo italiano? Nient’affatto. Andiamo con ordine facendo nuovamente un passo indietro. La Cedu con comunicazione del 22 maggio scorso ha informato la difesa di avere deciso di non indicare allo Stato italiano di adottare misure urgenti e provvisorie e contestualmente richiedeva alla difesa di depositare il ricorso entro il 2 giugno 2020. Domiciliari concessi dopo il ricorso alla Cedu «Sicuramente – spiegano gli avvocati Pina Di Credico e Roberto Ghini - ha avuto un peso nella decisione di non adottare una misura provvisoria, la circostanza che proprio durante questa procedura urgente (e probabilmente grazie all’intervento della Corte), con tempistiche alle quali raramente si è abituati, il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha fissato immediatamente l’udienza nell’interesse del detenuto per il giorno 28 aprile 2020. Nel corso di tale udienza il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha applicato il beneficio della detenzione domiciliare ritenendo non sussistente la pericolosità sociale del detenuto per le stesse motivazioni addotte dalla difesa». Quei 51 giorni in condizioni detentive inumane a degradanti Ma è sorto un problema. Il tribunale di sorveglianza non si era però pronunciata sulla eccepita violazione dell’articolo 3 Cedu per essere stato il detenuto esposto per ben 51 lunghi giorni in condizioni detentive inumane a degradanti al rischio di contagio da Covid 19 con il rischio di morire. Come spiegano gli avvocati, tale situazione poteva essere evitata ponendo il detenuto sin dalla prima richiesta in detenzione domiciliare avendo dimostrato, la difesa, che ricorrevano tutti i presupposti come affermato dal Tribunale di Sorveglianza che ha escluso la sussistenza della pericolosità sociale.Gli avvocati difensori, pertanto, hanno ritenuto opportuno depositare il ricorso alla Cedu il 27 maggio 2020, nonostante l’interruzione della procedura urgente, ritenendo che il detenuto avesse subito comunque un trattamento inumano e degradante durante l’attesa di ottenere la misura alternativa alla detenzione e ritenendo che lo Stato Italiano con il proprio comportamento avesse ostacolato il diritto al ricorso con informazioni in parte non perfettamente corrispondenti al vero. «Si è ritenuto, inoltre, - spiegano Ghini e Di Credico - che il governo Italiano avesse impiegato un tempo eccessivamente lungo, seppure sollecitato dalla Cedu, ad adottare una decisione in punto di legittimità della detenzione con ulteriore violazione dell’art. 5 Cedu». Ma accade una singolare coincidenza. Pochi giorni dopo la presentazione del ricorso dinanzi la Cedu, viene notificato alla difesa un ricorso per Cassazione del Procuratore generale presso la Corte di Appello di Venezia con cui si impugnava la decisione del Tribunale di Sorveglianza. A oggi la Corte di Cassazione non ha fissato alcuna udienza. Il ricorso dinanzi la Cedu è stato assegnato per la decisione alla Camera Ma veniamo al dunque. «In questi giorni – annunciano gli avvocati Ghini e Di Credico - si è appreso che il ricorso dinanzi la Cedu è stato assegnato per la decisione alla Camera e che il Presidente ha comunicato il ricorso al governo italiano con la richiesta di informazioni fattuali». Gli avvocati evidenziano che si tratta allo stato «di un ulteriore risultato degno di attenzione se si considera che alla Camera, composta da 7 giudici, vengono assegnati solo i ricorsi che sollevano una nuova questione relativa all’interpretazione ovvero all’applicazione della Convenzione e non i ricorsi che affrontano questioni già note come accade per il Comitato». Ciò a ulteriore conferma del fatto che la questione dell’esposizione a contagio da Covid 19 di un detenuto è del tutto nuova. «È senza precedenti – sottolineano gli avvocati Ghiri e Di Credico - e merita sicuramente un vaglio approfondito sia relativamente al divieto di trattamento inumano e degradante che sotto il profilo della celerità della decisione che un Tribunale deve rispettare quando si verte in materia di libertà di una persona oltretutto esposta al rischio di contagio da virus mortale».