«Domani, dopo mezzogiorno, queste pagine le troverete al mercato per incartare il pesce o la frutta». Chissà quante volte Roberto Russo, ottimo cronista di giudiziaria prima e da anni deskista al Corriere del Mezzogiorno, dorso napoletano del Corriere della Sera, avrà sentito ripetere questa frase da esperti caporedattori. Lui, però, ha deciso, che alcune pagine non dovessero finire sui banchi di un mercato, ma vivere una seconda vita. Trasformarsi in opere d’arte. E così, ha cominciato a tracciare su alcune pagine di quotidiano che aveva sotto mano, dei segni, trasformatisi presto in volti di donna. «Era un modo per rilassarmi – confessa Roberto Russo – dopo una giornata di lavoro in redazione, o, magari, durante una riunione o una pausa».

Tutto è partito in modo spontaneo: «Sceglievo a caso le pagine su cui dipingere. Una volta, terminato uno dei miei volti di donna, mi sono accorto che lo avevo dipinto su un titolo a caratteri cubitali che diceva “Il sesso debole è fortissimo”. L’ho considerato un po’ un segno. Da allora scelgo con cura le pagine su cui dipingere i miei volti: a volte raccontano storie di violenza, soprusi, morte. Con la mia pittura cerco di ridare vita e bellezza a queste donne. E, involontariamente, ho ridato vita anche ad alcune pagine dei quotidiani». Così è nata “Pagine quotidiane”, una mostra allestita nella Galleria d’Arte contemporanea Spazio Vitale di Aversa. L’ appuntamento campano appena concluso, il 30 luglio, tornerà nei prossimi mesi a Napoli con altre date in autunno.

Una passione, quella per la pittura, ereditata da uno zio, Vincenzo Russo, impressionista di scuola napoletana del dopoguerra. «Ho sempre imbrattato le tele, soprattutto con paesaggi – racconta Roberto Russo – poi negli ultimi sei mesi, dopo alcune vicissitudini personali, durante delle notti insonni ho sentito il bisogno di esprimere i miei sentimenti. Mi mancavano delle superfici sulle quali dipingere e mi è venuta l’idea di utilizzare alcune pagine del mio giornale e di acquerellarli. Prima di me artisti famosi, su tutti Mario Sironi, hanno già adottato le pagine dei quotidiani come supporti per le ore opere. La cosa, però, mi è piaciuta subito e, utilizzando gli acquerelli in modo non convenzionale ma quasi a secco. Finora ho dipinto oltre cento volti di donna. È iniziato un lavoro di ricerca anche dei “supporti” con titoli evocativi o che comunque rimandassero all’universo femminile». È una pittura a tratti libera, dalla pennellata mobile, con una modulazione cromatica che raggiunge un certo grado di penombra dentro cui l’artista indaga l’universo femminile. Volti in alcuni casi appena accennati, ma con colori e tratti molto decisi che attirano lo sguardo. «L’ispirazione arriva spesso dai social, dove molte donne mostrano i loro volti con delle foto davvero belle, spesso in pose accattivanti. Donne che non conosco che mi ritornano in mente nel silenzio delle ore notturne. Nei miei dipinti c’è anche un aspetto sociale, perché la donna, rappresentata magari su una pagina che la raccontava come vittima conquista uno spazio di bellezza, colorato, e le restituisce la dignità che merita diventando protagonista in positivo», spiega Russo.

E Michelangelo Giovinale, che della mostra ha curato il testo introduttivo, scrive: «Questo linguaggio personalissimo di Russo si compie in perfetta mimesi, da ravvisare come fenomeno d’impeto che in quel perimetro del foglio ci racconta dell’uomo, il suo essere giornalista e quello più intimo dell’uomo artista. Gli interventi, mostrano una sorta di sciame pulsionale che forza le griglie rigide dello spazio del foglio. Una fame d’aria, per Roberto d’arte. Un movimento del gesto, che noi sappiamo essere per la pittura e anche per la pratica dell’arte in generale, qualcosa che non può essere calcolo, piuttosto un rovesciamento del calcolo, un sabotaggio, che esorbita ogni calcolo. L’idea che se ne coglie per questo ciclo è una pratica artistica che avviene per propulsione, una spinta incontrollata, pulsionale. Oltrepassa quella linea gialla di sicurezza, irrompe fra le sue stesse griglie, in quell’architettura rigida delle battute di giornale».