La Cassazione, per la prima volta, apre ai domiciliari per i detenuti con problemi psichiatrici. Questa è la prima sentenza dopo la decisione della Corte costituzionale che ha equiparato il disagio fisico con quello mentale. Nel caso specifico parliamo di un detenuto con un disturbo ossessivo- compulsivo con la patologia bipolare dell'umore, al momento in fase depressiva. Quindi non poteva continuare a vivere in un contesto come quello carcerario senza patire un gravissimo disagio sul piano psicologico, acuito dalla impossibilità di adottare i necessari interventi psicoterapici. La Prima Sezione penale, sentenza del 3 agosto scorso, ha così accolto, con rinvio, la richiesta del recluso per un cumulo di pene, da 5 anni e mezzo ed affetto da una grave disturbo ossessivo compulsivo accertato da un medico psichiatra ed in precedenza riconosciuto anche da un altro tribunale di sorveglianza che gli aveva concesso di scontare il residuo pena ai domiciliari.

Tornato in carcere per altri reati, si era nuovamente rivolto al giudice ed al Tribunale di sorveglianza che però non hanno ravvisato ragioni per il rinvio dell'esecuzione della pena (o domiciliari), «atteso che lo stato morboso, non definibile come grave, non comportava una certa prognosi infausta quoad vitam, né risultava che egli potesse giovarsi, in libertà, di cure e trattamenti sanitari non praticabili in detenzione» . Né tantomeno l'espiazione della pena «si palesava in contrasto con il senso di umanità». Tutt'altro il quadro offerto dalla difesa secondo cui il Tribunale aveva del tutto ignorato la perizia dello psichiatra che aveva dato conto di una situazione clinica «incompatibile con la protrazione dello stato di restrizione intramuraria».

Secondo la Cassazione, la relazione non è stata presa in considerazione ai fini della doppia valutazione avente ad oggetto il differimento della pena e l'ipotesi di detenzione domiciliare a esso connessa, nonostante che, una volta esteso il “thema decidendum” da parte del magistrato di Sorveglianza in sede provvisoria, anche quel contributo conoscitivo avrebbe dovuto essere valutato in relazione agli ulteriori profili oggetto di decisione, in specie dopo che la Corte costituzionale, con la sentenza del 19 aprile 2019, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 47-ter, comma 1-ter dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede che, in caso di grave infermità psichica sopravvenuta, il Tribunale di sorveglianza possa disporre la detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di pena. «

In proposito – scrive la Cassazione - va, infatti, osservato che per effetto della cennata pronuncia è ora possibile concedere, alla persona affetta da gravi problematiche psichiatriche, la misura della detenzione domiciliare, la cui applicazione deve essere valutata all'esito di un articolato giudizio nel quale devono confluire, alla luce della ratio dell'istituto e della ridefinizione del suo perimetro conseguente alla declaratoria di incostituzionalità, il dato relativo alla incidenza sulle condizioni psichiche della protrazione della detenzione, quello attinente agli interventi terapeutici non efficacemente esperibili all'interno del carcere e, infine, quello concernente la attuale pericolosità sociale». Per questo motivo la cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinvia al tribunale di sorveglianza de L’Aquila per un nuovo giudizio.