Ha aggredito un agente penitenziario del carcere della Dozza di Bologna, per poi subito dopo incendiare il materasso della sua cella. Il detenuto in questione è un ragazzo tunisino di 32 anni con gravi problemi psichici. Proprio per la sua condotta aggressiva ha girato decine di carceri, accumulato un’ottantina di denunce, ma il problema rimane. Che fare? Nicola D’Amore, l’agente penitenziario della sezione penale maschile che ha subito l’aggressione, ha nel passato segnalato più volte – come rappresentante del sindacato Sinappe proprio il caso del detenuto in questione.

Tra le tante segnalazioni c’è quella datata il 9 febbraio scorso dove denuncia un episodio di violenza che ha visto come vittima un detenuto sessantenne del reparto Reclusione, per mano – si legge – «di un detenuto particolarmente pericoloso, come già segnalato con pregresse note, la scrivente O. S. esprime preoccupazione per l’incolumità degli operatori penitenziari, nonché per la popolazione detenuta». L’agente D’Amore ha poi sottolineato che «il personale di Polizia penitenziaria risulta essere sprovvisto degli strumenti necessari a gestire lo stato agitazione psicofisica in cui versa la persona detenuta suddetta. In considerazione del concreto rischio che la situazione sopra rappresentata possa sfociare in qualcosa di molto più grave, si richiede alla S. V. di intervenire tempestivamente con provvedimenti efficaci e risolutivi, volti a garantire la sicurezza degli operatori penitenziari e della popolazione detenuta» . Ma il problema è ancora una volta il discorso dei detenuti con disagio psichico che non vengono curati. «Il ragazzo che mi ha aggredito – spiega a Il Dubbio l’agente D’Amore – ha dei problemi psichici gravissimi, noi l’abbiamo trattato bene e continueremo a farlo, ma non possiamo fare noi da psichiatri, educatori o psicologi. Qui manca la struttura di articolazione psichiatrica dedicata agli uomini reclusi».

D’Amore sottolinea il fatto che persone come il detenuto tunisino non possono essere trattati in un carcere come quello di Bologna dove ci sono poche figure professionali come gli psichiatri o altre figure sanitarie specifiche. Non possono, come agenti penitenziari, prendersi a carico le persone che sono un pericolo anche per i detenuti stessi. Il problema non è dell’amministrazione penitenziaria. Anzi, ha più volte sollevato il problema all’assessorato regionale. Da ricordare, infatti, che il Dap non ha competenza sul sanitario. La regione dovrebbe intervenire, le aziende sanitarie locali dovrebbero, come minimo, inserire più operatori sanitari e prendersi a carico del problema. L’agente e sindacalista Nicola D’Amore spiega che sul carcere di Bologna il Sinappe ha rappresentato la problematica gestione dei detenuti psichiatrici, resa improba dalla carenza di operatori sanitari. «Abbiamo anche fatto presente – ha raccontato Gianluca Gilberti, segretario regionale del Sinappe - come, a volte, per scaricare il problema sulla Polizia Penitenziaria alcuni detenuti vengano definiti con disturbi comportamenti e non psichiatrici. Il dottor Bonfiglioli del provveditorato regionale ( Prap) ha confermato quanto segnalato dal sindacato e ci ha ringraziato per le nostre sollecitazioni che hanno avallato le argomentazioni del Prap sostenute nell'interlocuzione con l'assessorato regionale che, spesso, è molto conflittuale» .