Qualcosa potrebbe essere cambiato, rispetto alle prime ipotesi cruente istigate dal caso Palamara. Nella congerie politico-legale in cui è ormai avvolto il Csm si devono registrare due novità. Innanzitutto la dichiarazione rilasciata nel fine settimana da Andrea Orlando, vicesegretario dem, al festival del giornale online Tpi.it: «Non sono tra coloro che criminalizzano Palamara, e credo che la magistratura non possa fare come la politica degli anni 90, quando si diceva ‘è una questione limitata’: se ci sono patologie sistemiche», ha fatto notare Orlando, «più che creare un caso individuale bisogna capire cosa non funziona». L’altra notizia è di stamattina e viene dal processo disciplinare destinato a viaggiare in parallelo con la riforma del Csm, quello che vede come principale incolpato proprio Luca Palamara ma che riguarda anche Cosimo Ferri, ora deputato di Italia viva ma fino a poco tempo fa leader di Magistratura indipendente”: ebbene, la sezione disciplinare del Csm dinanzi alla quale si svolge il procedimento ha deliberato di sospenderne gli effetti per il parlamentare, e sottoporre alle sezioni unite della Cassazione una delle istanze di ricusazione presentate dallo stesso Ferri. In particolare quella relativa ai due componenti Stefano Cavanna e Michele Cerabona, che sarebbero anche parti lese rispetto ai presunti illeciti di Ferri. Dovrebbero insomma giudicare su vicende di cui secondo l’accusa sarebbero in parte vittime, il che crea notevoli problemi di compatibilità, sui quali dovrà pronunciarsi la Suprema corte.

Il pressing di Verini: «Riforma Csm sia discussa subito in Cdm»

Sono due faccende diverse, che però raccontano la stessa cosa: la partita sulle toghe non è chiusa, né sul piano legale né in termini strettamente politici. Il Pd vuole un approccio rigoroso ma non sbrigativo, comunque rispettoso anche del pluralismo interno alla magistratura. E al Dubbio, il responsabile Giustizia del Nazareno Walter Verini dice, a proposito del ddl sul Csm: «Auspichiamo una rapida discussione e approvazione in Consiglio dei ministri, che darà modo al Parlamento di compiere un confronto serio per una riforma che potrà aiutare la magistratura a ritrovare piena credibilità». Come ha detto anche il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, su una riforma così delicata è necessario adottare un metodo costituente: anche se non si modifica la Carta, si interviene comunque su un organo di rilievo costituzionale, e sarebbe opportuno procedere con la partecipazione più ampia possibile, anche delle forze di opposizione. Il Pd ne è altrettanto convinto e considera i possibili conflitti sul sistema di voto un terreno su cui confrontarsi a viso aperto, senza il timore che alcuni settori della stessa maggioranza, cioè Matteo Renzi, possano recitare ancora una volta la parte della voce fuori dal coro. Si vedrà dunque se davvero il Consiglio dei ministri di questa settimana sarà l’occasione propizia per l’atterraggio della legge delega sui magistrati, tenuta un po’ curiosamente nel cassetto nonostante il testo sia ormai “chiuso”. È nelle mani del dipartimento degli Affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi da una decina di giorni, con gli ultimi ritocchi sul sistema per l’elezione dei togati (compresi i meccanismi che dovrebbero assicurare parità di genere, sollecitata sempre da Verini e dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Giorgis) e con la modifica in extremis del micro-sorteggio residuale.

Il “sorteggio residuale” inserito nel ddl in extremis

In pratica il guardasigilli ha accolto la “riforma elettorale” modellata sul sistema simil-australiano (copyright Stefano Ceccanti e Alfredo Bazoli) ma ha ottenuto di prevedere che se in qualcuno dei 19 collegi non si raggiungesse la soglia minima di 10 candidati volontari, i mancanti verrebbero individuati per sorteggio. Non è ovviamente la soluzione ipotizzata un anno fa da Bonafede, quando la selezione random dei “candidabili” era finita a tutti gli effetti nell’articolato della riforma, poi accantonata per la rottura con Salvini. Ma è comunque il segnale che quello è l’approccio più gradito al guardasigilli e al suo Movimento. Dopodiché non si tratta di un dettaglio capace di allarmare più di tanto i dem, contrari alla soluzione basata sul sorteggio perché incostituzionale e poco compatibile col pluralismo della rappresentanza, a cui il partito di Zingaretti non intende rinunciare. Fatto sta che l’approccio del Pd e le difficoltà rispetto all’idea del maxiprocesso lampo a Palamara — indebolita anche dalle critiche di Md sulla presenza di Davigo nel collegio disciplinare — autorizzano un pronostico: nei confronti della magistratura non dovrebbe consumarsi quella sorta di vendetta intravista da Eugenio Albamonte, segretario di “Area” e pm a Roma, anche in un’intervista al Dubbio. Non dovrebbe ripetersi cioè quell’errore commesso 27 anni fa con i partiti, quando l’improvvisa scoperta della in realtà arcinota prassi tangentizia demolì un intero sistema politico. Nel caso della magistratura non si dovrebbe assistere a un sistema politico-associativo improvvisamente raso al suolo. Anche se nella riforma del Csm c’è una norma che impedisce la formalizzazione dei gruppi all’interno del plenum, la vita dell’Anm e delle correnti non dovrebbe uscirne sconvolta. E, nonostante 27 anni fa, con i partiti, tutto si sia risolto con metodi assai meno rispettosi, non è detto che per la democrazia e per la giustizia si tratterebbe di un irrimediabile fallimento.