I rapporti tra Matteo Salvini e il reato di sequestro di persona in danno degli immigrati soccorsi in alto mare e poi bloccati sulle navi in attesa dell’autorizzazione a sbarcare hanno ormai una lunga storia. In particolare, in questi giorni è tornata di attualità la specifica vicenda relativa Ong spagnola Proactiva Open Arms.

I fatti risalgono all’agosto 2019, quando Salvini era ministro dell’Interno; sulla nave erano presenti più di cento migranti in attesa che il ministro indicasse un porto per lo sbarco sul territorio italiano.

Il 25 maggio di quest’anno la giunta per le immunità del Senato aveva respinto a larga maggioranza la richiesta dei magistrati di Palermo di iniziare il procedimento penale contro Salvini per il reato di sequestro di persona, ma l’ultima parola spetta al Senato, che è appunto chiamato oggi a votare in aula se autorizzare o meno il processo contro Salvini. Salvini, il reato di sequestro è inesistente I risvolti politici li decideranno gli elettori

Al di là della specifica vicenda della Open Arms, l’impressione che si trae dagli episodi in cui diverse procure della Repubblica hanno ravvisato gli estremi del reato di sequestro di persona è che Salvini abbia utilizzato la minacciata incriminazione per fini di immediata convenienza politica.

Emblematico è il caso della nave Gregoretti del gennaio di quest’anno: dapprima Salvini si è opposto alla richiesta di autorizzazione a procedere, dando in tal senso istruzioni ai senatori della Lega, poi ha mutato parere e gli stessi parlamentari della Lega hanno espresso il voto decisivo a favore dell’autorizzazione.

Eravamo in prossimità delle elezioni regionali in Emilia- Romagna e Salvini ha evidentemente ritenuto che fosse per lui politicamente più conveniente presentarsi agli elettori in qualità di “martire” perseguitato dalla giustizia penale per avere difeso le acque territoriali italiane dalla pericolosa invasione di centinaia di immigrati irregolari. Ricorderete una delle frasi melodrammatiche pronunciate in quella circostanza: «Ci sono momenti in cui per arrivare alla libertà bisogna passare per la prigione».

Nella vicenda della Open Arm Salvini era invece parso seriamente preoccupato dal rischio di una condanna sino a 15 anni di galera ( è il massimo della pena per il delitto di sequestro di persona aggravato per essere il reato commesso da un pubblico ufficiale con abuso delle sue funzioni e per essere presenti tra i “sequestrati” dei minorenni) e si era perfino rivolto al Capo dello Stato denunciando che la magistratura non assicurava più le garanzie di imparzialità e indipendenza.

Staremo ora a vedere quali istruzioni Salvini darà ai senatori della Lega nel voto di oggi al Senato, a seconda di quali saranno le contingenti ragioni di convenienza e opportunità politica. A fronte di queste palesi strumentalizzazioni della giustizia penale a fini personali, pare opportuno domandarsi se effettivamente in occasione dei ritardi nello sbarco dei migranti soccorsi in alto mare siano ravvisabili gli estremi del reato di sequestro di persona.

Non c’è dubbio che i migranti sono rimasti sostanzialmente prigionieri a bordo delle navi che li avevano soccorsi sino a che il ministro dell’interno non ha dato il via libero allo sbarco sul territorio italiano.

Ma il reato di sequestro di persona richiede anche il dolo, cioè si deve agire con la volontà esclusiva di privare quei soggetti della libertà personale. Altre erano però le ragioni che avevano indotto il ministro dell’interno Salvini a procrastinare gli sbarchi, in primo una generale visione politica miope ed egoistica del fenomeno dell’immigrazione clandestina.

Più condivisibili e apprezzabili l’esigenza di coinvolgere i Paesi dell’Unione europea nell’accoglienza dei migranti, nonché la difficoltà di individuare il porto sicuro per eseguire lo sbarco, cioè ragioni che nulla hanno a che vedere con il dolo del reato di sequestro di persona.

Parrebbe quindi opportuno chiedere alle procure della Repubblica di riflettere sull’effettiva sussistenza del reato di sequestro di persona e domandarsi se, in luogo di quella penale, la risposta all’ex ministro dell’interno/ senatore Matteo Salvini non vada piuttosto ricercata sul terreno politico.

A ciascuno il suo: ai magistrati il compito di perseguire i reati effettivamente esistenti ricorrendo al sistema della giustizia penale; al Parlamento e poi al corpo elettorale il potere di censurare le scelte politiche dei governanti con il voto in occasione delle elezioni o con il referendum popolare abrogativo delle leggi.