"Il buon governo. L’età dei doveri” di Sabino Cassese, L’Italia? È tutta un quiz

Sabino Cassese è un uomo fortunato. Nella sua bottega artigiana lavora dall’alba a notte fonda senza risparmio di energie. Eppure, beato lui, non avverte stanchezza. Perché si diverte lavorando. Al punto da dedicare pochissimo tempo ai pasti e al sonno perché sottrarrebbe ore al suo hobby. E che hobby! Novello Carlo V, sul suo impero di carta non tramonta mai il sole. Fa impeccabili articoli di fondo sul Corriere. Scrive di continuo recensioni sul Sole 24 Ore, a condizione che si tratti di ponderosi volumi di 500 e passa pagine e scritti preferibilmente in una delle tante lingue che conosce a menadito. Si fa le domande e si dà le risposte sul Foglio di Cerasa. E guarda con compatimento chi sostiene che anche Gigi Marzullo, nel suo piccolo, fa lo stesso. Perché, noblesse oblige, Cassese s’ispira ai grandi esempi del passato. A cominciare da Tommaso Moro, e giù giù per li rami. Altro che Marzullo.

Manco a dirlo, è concupito dai principali quotidiani nazionali, che lo intervistano di continuo. E lui signorilmente non dice di no. Così com’è gradito ospite in svariate trasmissioni televisive. E qui sbaglia, come gli obietterebbe Giovanni Sartori. Che però, alla scuola di padre Zappata, predicava bene e razzolava male. Perfino lui non si negava alla Tv. Sbaglia perché il telespettatore, l’homo videns di sartoriana memoria, ti guarda ma non ti ascolta. E siccome Cassese ha sempre qualcosa d’interessante da dire, anche perché non ha peli sulla lingua e nessun riguardo per nessuno, farebbe bene a utilizzare semmai la radio, che dal passato si proietta verso il futuro.

Come tutte le strade portano a Roma, così tutti gli articoli di giornale per Cassese sono pensati come prototipi di libri. Degli spunti, delle anticipazioni. Come per l’appunto è questo suo Il buon governo. L’età dei doveri, edito da Mondadori come il suo precedente saggio su La democrazia e i suoi limiti, impreziosito da una succosa introduzione. Gli undici capitoli che comprendono il volume riprendono i “dialoghi” pubblicati sul Foglio. Ma riveduti e qua e là aggiornati. A differenza degli articoli, i libri sono creature che ti crescono tra le mani giorno dopo giorno. E dopo che li hai dati alle stampe, quasi quasi un po’ ti dispiace. Perché si distaccano da te e non ti fanno più compagnia. Così la pensava anche Giovanni Spadolini, che ai tempi del sequestro Moro i suoi amici per burla lo immaginavano adirato per il fatto che Moro inviava lettere. «Ma che lettere e lettere. Libri si scrivono, libri perdio!» . Diciamocela tutta: l’eminente storico fiorentino, direttore del Corriere, senatore e presidente di Palazzo Madama, due volte presidente del Consiglio si prestava a qualche affettuosa corbellatura.

Si diceva dei capitoli. Abbracciano temi di stringente attualità. Come i sovranisti e la globalizzazione, il giorno e la notte. Come lo Stato che ritorna protagonista dopo l’eclissi. Come l’Europa. Come la Costituzione, con le sue luci e le sue ombre. Come le tante facce della democrazia. Come le nostre istituzioni dai tanti centri di potere. Come un governo dai molti volti. Come l’eterogenesi dei fini rappresentata da una voglia di democrazia diretta che si risolve nella ricerca dell’uomo forte. Come una cosiddetta società civile che non è né meglio né peggio della classe politica ma ne è lo specchio fedele. E questo è il guaio.

Illustre cattedratico, ministro nel governo Ciampi, giudice della Corte costituzionale, Cassese carduccianamente scrive scrive e ha molte altre virtù. Non è un giovincello. Ma, abituato a stare tra i giovani nelle prestigiose Università italiane e straniere nelle quali ha insegnato diritto amministrativo e dintorni e dove torna spesso con cicli di lezioni, conferenze e seminari, non ha la mentalità dei vecchi che concludono immancabilmente il loro dire con il ciceroniano tempora o mores. Né rimpiange il mondo di ieri, per usare il titolo del famoso libro di Stephan Zweig. No, piuttosto si direbbe che scimmiotti i celeberrimi “Sì ma…” di Ugo La Malfa.

Sì, osserva Cassese, le cose nel Belpaese non vanno al meglio. Un po’ in tutti i campi. Però c’è un misericordioso “ma” che tende a riequilibrare le cose. E che spiega la ragione per la quale nonostante tutto l’Italia, come il calabrone, non stramazzi al suolo. Dino Cofrancesco ha la sua brava spiegazione. Sostiene che l’Italia ha bisogno di eccellenze, e a volte addirittura di eroi, per bilanciare la fossa delle Marianne rappresentata dai tanti sciamannati che disonorano la Nazione con la loro pochezza. Come la vita per Renzo Arbore, così per Cassese l’Italia è tutta un quiz. Tra bassi e alti. Fanalino di coda quanto a numero di laureati, eppure tanti nostri laureati sono apprezzati fuori dai confini nazionali. A governanti famosi (si fa per dire) per abbracciare la tecnica del rinvio se ne contrappongono altri esperti nell’arte del comando. Le nostre infrastrutture lasciano parecchio a desiderare, eppure in appena otto anni è stata completata l’Autostrada del Sole.

Le istituzioni, si capisce, hanno le loro responsabilità. Cassese ne enumera cinque. Le decisioni fondate sulla forza del dibattito sono state sostituite con quelle fondate sulla forza dei numeri. Assistiamo a una nuova concentrazione di poteri. Il Parlamento conta sempre meno. Maiora premunt e le cose importanti sono rinviate sine die. Infine, mancano organi di correzione delle politiche governative. L’amministrazione, poi, costa e produce poco. E la nostra economia procede come i gamberi. Quando si parla di un libro di Cassese è buona regola astenersi dal qualificarlo il più recente. Perché può capitare che, spedita la recensione, si passi in libreria e si scopra che è immancabilmente il penultimo. E già, perché nella bottega artigiana di Cassese fervet opus. Ogni giorno che Domineddio manda in terra. Sennò il Professore non si diverte. Meno male. Perché in un’Italia sottosopra e smarrita c’è bisogno di autorevoli punti di riferimento come il suo. Al di sopra della mischia, non fa sconti a nessuno. Ma con una eleganza, una olimpica compostezza e una sapienza giuridica che ricordano Massimo Severo Giannini, il suo Maestro.