La Congregazione per il Clero è il dicastero che si occupa della promozione e del governo di tutto ciò che riguarda la formazione, la vita e il ministero dei sacerdoti. Il 20 luglio ha pubblicato un documento, definito tecnicamente Istruzione intitolato “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”. Si potrebbe tradurre in “Orientamenti per l’evoluzione della vita parrocchiale”.
Anche se il testo non contiene novità legislative, ma, come si premura di spiegare la Sala Stampa Vaticana, “propone modalità per una migliore applicazione della normativa vigente” esso si inquadra nella parte operativa della profonda riflessione in corso all’interno della Chiesa relativa alla sua presenza nella società attraverso diocesi e parrocchie e alla figura del prete. Non è un mistero che papa Francesco ritenga eccessivamente numerose le diocesi italiane e la loro dimensione e distribuzione territoriale troppo dipendente da ragioni storiche e troppo poco da motivazioni pastorali e organizzative.
Molte diocesi settentrionali contano centinaia di parrocchie e una popolazione di presbiteri che raggiunge il migliaio di unità; nell’Italia centrale l’eredità dell’organizzazione di governo dello Stato pontificio fa sì che l’estensione di alcune non superi le poche decine di parrocchie, anche dopo le recenti ristrutturazioni, in continuità con un’epoca nella quale a fianco della missione pastorale il vescovo svolgeva mansioni di natura civile. Né le grandi né le piccole diocesi sfuggono comunque ai problemi dell’invecchiamento e della riduzione numerica del clero, ai quali si è spesso fatto fronte con l’immissione nelle parrocchie di sacerdoti provenienti da aree geografiche lontane. La recente istruzione non propone elementi di innovazione normativa, l’occasione non lo consente. Si limita a indicare e a promuovere la valorizzazione del complesso di strumentazioni già oggi a disposizione di vescovi e parroci per aprire la gestione anche sacramentale della Chiesa all’attività dei laici, alleggerendo il peso che grava sulle spalle dei sacerdoti.
Una delle questioni dibattute con maggior partecipazione nel corso del recente sinodo dedicato alla situazione dell’Amazzonia. La Chiesa non vive tensioni diverse nelle varie parti del mondo, anche se ciascun luogo ha le sue particolarità proprie.
Se eucarestia e riconciliazione sono totalmente riservate ai presbiteri, conferma l’Istruzione, battesimo e matrimonio, e a maggior ragione cerimonie quali il commiato dei defunti, consentono una maggior elasticità, già prevista dalla normativa vigente ma non pienamente sfruttata. Niente di nuovo, si potrebbe dire. In realtà siamo di fronte a una ulteriore presa d’atto delle dimensioni dell’ostacolo sociologico che la Chiesa nel suo complesso si trova ad affrontare, del profondo cambiamento che essa vive e che riconosce nella società contemporanea. Lo strumento più efficace per farlo è una delle armi che si è rivelata di maggior efficacia nella sua vita bimillenaria: la memoria storica. Una parte considerevole della struttura attuale della Chiesa, e persino una componente dell’interpretazione dogmatica sulla quale si è fondata la sua visione del mondo fino al Concilio Vaticano II, non risalgono alla stagione apostolica e neppure a quella dei sette grandi concili celebrati tra il quarto e l’ottavo secolo e riconosciuti anche dalle Chiese Ortodosse.
La loro nascita si colloca invece all’epoca del Concilio di Trento, tenuto con lunghe pause dei lavori tra il 1542 e il 1563, al quale si attribuisce giustamente la realizzazione della Riforma Cattolica, la grande risposta del cattolicesimo alla Riforma Protestante.
Da allora e per oltre tre secoli non si sono tenuti altri concili, fino al Vaticano I e al Vaticano II, lontani un secolo l’uno dall’altro. Il secondo in particolare ha rimesso in discussione molte delle modalità operative individuate ormai mezzo millennio orsono, auspicandone l’adeguamento alla società contemporanea che la Chiesa e papa Francesco si impegnano a far crescere, nonostante le gigantesche difficoltà che incontrano.
La Chiesa vuole adeguarsi alla società. Meno diocesi, meglio divise e uso dei laici
La Congregazione per il Clero è il dicastero che si occupa della promozione e del governo di tutto ciò che riguarda la formazione, la vita e il ministero dei sacerdoti. Il 20 luglio ha pubblicato un documento, definito tecnicamente Istruzione intitolato “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”. Si potrebbe tradurre in “Orientamenti per l’evoluzione della vita parrocchiale”.
Anche se il testo non contiene novità legislative, ma, come si premura di spiegare la Sala Stampa Vaticana, “propone modalità per una migliore applicazione della normativa vigente” esso si inquadra nella parte operativa della profonda riflessione in corso all’interno della Chiesa relativa alla sua presenza nella società attraverso diocesi e parrocchie e alla figura del prete. Non è un mistero che papa Francesco ritenga eccessivamente numerose le diocesi italiane e la loro dimensione e distribuzione territoriale troppo dipendente da ragioni storiche e troppo poco da motivazioni pastorali e organizzative.
Molte diocesi settentrionali contano centinaia di parrocchie e una popolazione di presbiteri che raggiunge il migliaio di unità; nell’Italia centrale l’eredità dell’organizzazione di governo dello Stato pontificio fa sì che l’estensione di alcune non superi le poche decine di parrocchie, anche dopo le recenti ristrutturazioni, in continuità con un’epoca nella quale a fianco della missione pastorale il vescovo svolgeva mansioni di natura civile. Né le grandi né le piccole diocesi sfuggono comunque ai problemi dell’invecchiamento e della riduzione numerica del clero, ai quali si è spesso fatto fronte con l’immissione nelle parrocchie di sacerdoti provenienti da aree geografiche lontane. La recente istruzione non propone elementi di innovazione normativa, l’occasione non lo consente. Si limita a indicare e a promuovere la valorizzazione del complesso di strumentazioni già oggi a disposizione di vescovi e parroci per aprire la gestione anche sacramentale della Chiesa all’attività dei laici, alleggerendo il peso che grava sulle spalle dei sacerdoti.
Una delle questioni dibattute con maggior partecipazione nel corso del recente sinodo dedicato alla situazione dell’Amazzonia. La Chiesa non vive tensioni diverse nelle varie parti del mondo, anche se ciascun luogo ha le sue particolarità proprie.
Se eucarestia e riconciliazione sono totalmente riservate ai presbiteri, conferma l’Istruzione, battesimo e matrimonio, e a maggior ragione cerimonie quali il commiato dei defunti, consentono una maggior elasticità, già prevista dalla normativa vigente ma non pienamente sfruttata. Niente di nuovo, si potrebbe dire. In realtà siamo di fronte a una ulteriore presa d’atto delle dimensioni dell’ostacolo sociologico che la Chiesa nel suo complesso si trova ad affrontare, del profondo cambiamento che essa vive e che riconosce nella società contemporanea. Lo strumento più efficace per farlo è una delle armi che si è rivelata di maggior efficacia nella sua vita bimillenaria: la memoria storica. Una parte considerevole della struttura attuale della Chiesa, e persino una componente dell’interpretazione dogmatica sulla quale si è fondata la sua visione del mondo fino al Concilio Vaticano II, non risalgono alla stagione apostolica e neppure a quella dei sette grandi concili celebrati tra il quarto e l’ottavo secolo e riconosciuti anche dalle Chiese Ortodosse.
La loro nascita si colloca invece all’epoca del Concilio di Trento, tenuto con lunghe pause dei lavori tra il 1542 e il 1563, al quale si attribuisce giustamente la realizzazione della Riforma Cattolica, la grande risposta del cattolicesimo alla Riforma Protestante.
Da allora e per oltre tre secoli non si sono tenuti altri concili, fino al Vaticano I e al Vaticano II, lontani un secolo l’uno dall’altro. Il secondo in particolare ha rimesso in discussione molte delle modalità operative individuate ormai mezzo millennio orsono, auspicandone l’adeguamento alla società contemporanea che la Chiesa e papa Francesco si impegnano a far crescere, nonostante le gigantesche difficoltà che incontrano.
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