Il momento per la magistratura non è facile. Forse è peggiore di quello vissuto un anno fa, all’esplosione del caso Palamara. Ora si profila l’ondata di ritorno sollevata da quella vicenda, sotto forma di riforme non proprio indolori per le toghe. Ci sono almeno tre fronti aperti a preoccupare l’Anm. Innanzitutto la riforma del Consiglio superiore, con le ipotesi di sorteggio ( temperato) tutt’altro che sepolte, dopo il parere favorevole espresso persino da togati di Autonomia e Indipendenza, una corrente degli stessi magistrati, e visto il pressing di Forza Italia. Poi c’è la sottovalutata questione delle sanzioni disciplinari per giudici e pm “lenti”: la norma, ritenuta punitiva dall’associazione presieduta da Luca Poniz, è nel ddl sul processo penale, che inizia a muovere i primi passi a Montecitorio. E sempre nella commissione Giustizia presieduta dalla deputata m5s Francesca Businarolo ieri si è materializzata la non ostatività ( quanto meno) del governo a un’altra proposta degli azzurri ( illustrata in un altro servizio del giornale, ndr):

creare una specifica fattispecie di responsabilità per quei magistrati che chiedono e ordinano misure detentive di cui poi si svela l’ingiustizia. Partite che sabato scorso hanno indotto l’Anm a convocare l’assemblea nazionale per il prossimo 19 settembre: un evento che rischia di trasformarsi nell’apertura di un conflitto politico molto aspro fra la magistratura e il governo.

Di fatto a preoccupare Poniz, il segretario Giuliano Caputo e in generale le correnti è il vento che cambia. L’aria da resa dei conti che si respira attorno al caso Palamara e che potrebbe spingere un ministro pur aperto al confronto come Alfonso Bonafede a scegliere con le toghe la linea dura. Un paradosso, se si pensa al mito dei cinque stelle legati alla magistratura da una presunta organicità. Solo un mito appunto. Come le tensioni Bonafede- Di Matteo hanno dimostrato. Il paradosso è reso persino più insopportabile, per la magistratura associata, se si considera la tendenza a proporre alla politica misure per limitare carrierismo e percorsi preordinati sulle nomine: basti pensare al documento approvato sempre nello scorso fine settimana dall’assemblea di Area, il gruppo delle toghe progressiste, che arriva a proporre anche il divieto di assumere nuovi incarichi direttivi per quei colleghi che già guidano un ufficio. Vorrebbe dire che un procuratore della Repubblica dovrebbe tornare almeno per un paio d’anni a fare il sostituto semplice, anche a fine carriera.

Paiono riaffiorare tensioni degne del ventennio berlusconiano. Certo, la governance dell’Anm è nelle mani di un progressista moderato come Poniz. Però lo stesso presidente dell’associazione, nell’ultimo parlamentino, ha fatto un paio di puntualizzazioni da non trascurare: «Negli ultimi giorni si è assistito ad attacchi concentrici di segno opposto» sia al “sindacato” dei giudici sia «alla magistratura tutta». Riferimento non solo al «caso Palamara» o alle rivelazioni postume sulla condanna del Cav. A essere considerata «irricevibile», da Poniz, da Caputo e dall’intera giunta dell’Anm, è «ogni riforma che muova da una idea di inefficienza della magistratura, così come ogni proposta di sanzione disciplinare in caso di deroghe a termini processuali». Una previsione tutt’altro che ipotetica, appunto: è inserita nel ddl penale insieme con un’altra pure definita, da Caputo, inaccettabile, ossia «l’obbligo di discovery degli atti» in capo ai pm.

Naturalmente le toghe sono in tensione anche perché, come ha ricordato Poniz, «si torna a parlare di sorteggio e di separazione delle carriere». Ma mentre questi dossier non si sono ancora tradotti in testi di legge, nel caso delle sanzioni per i giudici e i pm “lenti” si tratta di norme già deliberate in Consiglio dei ministri e incardinate a Montecitorio. E, come spiega un altro componente della giunta Anm, Marcello Basilico, «non ci è ancora del tutto chiaro se la previsione di vincolare il giudice a tempi preordinati per fase possa entrare anche nel ddl sul processo civile. Il testo oggi non lo contempla, ma quando, all’ultimo tavolo a via Arenula, ho espressamente chiesto se sono da escludere sanzioni per la magistratura civile, non ho avuto risposta». Di fronte a tutto questo, la scelta di convocare l’assemblea nazionale dell’Anm per il 19 settembre va letta proprio come snodo chiave di un possibile, forte conflitto politico fra la magistratura e l’attuale maggioranza di governo. Spiega ancora Basilico: «L’assemblea andava convocata comunque perché è l’organo titolato a decidere sul ricorso appena presentato da Luca Palamara contro la propria espulsione. Ma è un punto che riguarda un solo singolo magistrato, mentre le nuove sanzioni incombono su tutti e novemila i magistrati italiani: è chiaro che simili aspetti delle riforme saranno il tema chiave dell’assemblea». In cui davvero rischia di divampare un incendio.