Lei è Karen, ma non è una persona reale, è un archetipo. Anzi, è un’antonomasia, o un “meme” come si dice nella neolingua digitale. Rappresenta la donna bianca, benestante americana, casalinga, brava a maneggiare le armi e «sempre pronta a chiamare la polizia per i più futili motivi».

Karen non ama i neri e i progressisti, è sospettosa verso la scienza e il governo centrale; tagliando il suo profilo con l’accetta, potrebbe essere la caricatura della suprematista bianca emarginata o della bigotta hockey mom, animatrice di Tea party ma non è così. Karen è un tipo molto più comune, ti sfila accanto al supermercato, è la vicina di casa che si lamenta degli schiamazzi notturni, la cliente insoddisfatta che vuole «parlare con capo», insomma è puro ceto medio. Non ne sa molto di politica e meno che mai militerebbe in un partito, le basta proteggere la sua proprietà dagli “intrusi”, il suo quartiere dai “balordi”.

E in queste settimane di passione con il movimento Black Lives Matter che ha occupato le strade delle città, squadernando ai quattro venti la questione razziale, da Boston a Los Angeles sono tantissime le Karen salite alla ribalta delle cronache.In un video girato a Central Park ( New York) il giorno stesso in cui George Floyd veniva ucciso da un poliziotto a Minneapolis Christian Cooper. un professore di ornitologia afroamericano, chiede gentilmente a una signora di tenere il proprio cane al guinzaglio come prevede il regolamento del parco. La donna inizia a urlare contro di lui, componendo un numero sul suo telefono: «Ora chiamo la polizia e gli dico che un nero mi sta minacciando!». La sorella di Christian Alice riprende la scena e la posta su Twitter. Risultato: 45 milioni di visualizzazioni in pochi giorni che costano alla donna il licenziamento e una denuncia per «falsa dichiarazione e procurato allarme». Poche settimane prima, sempre a Central Park, un altro nero era stato segnalato alla polizia da una donna per «comportamenti sospetti», mentre stavo solamente facendo birdwatching con il suo binocolo. Un altro video girato a San Francisco James Juanillo, americano di origini filippine è stato accusato da una vicina di non essere il proprietario del suo appartamento. Il motivo? Aveva dipinto sul muro di casa la scritta “Black Lives Matter”. In un crescendo surreale la signora, che si chiama Lisa Alexander, afferma di conoscere personalmente il padrone di casa. Juanillo sorride ma si rifiuta di dirle il suo nome, le suggerisce di chiamare la polizia per verificare, lei si allontana e chiede l’intervento di una volante. Quando gli agenti arrivano salutano Juanillo e neanche scendono dalla macchina. Il video sbarca sul web diventa virale: decine di milioni di visualizzazioni che spingono Lisa Alexander a chiedere pubblicamente scusa.

Oppure quell’impiegata di un hotel della Carolina del nord che ha chiamato lo sceriffo perché una famiglia afroamericana stava utilizzando la piscina. Va da sé che erano clienti dell’albergo. A volte, però, Karen sale di livello, mette in tasca il telefono e sguaina il revolver come è accaduto in un parcheggio di un centro commerciale di Detroit dove una donna nera con la figlia di 15anni è stata minacciata da Jillian Wuestenberg una 32enne bianca che dopo una banale lite per una fila al fast food ha estratto la sua pistola puntandola contro madre e figlia. In questo caso il video ha portato all’arresto di Wuestenberg che si è giustificata affermando di temere per la propria vita.

Un’altra variante della Karen pistolera è incarnata dalla donne che, assieme al marito, due settimane fa ha brandito la sua calibro 22 contro un gruppo di manifestanti del Black Lives che transitavano a pochi metri dal suo giardino a Saint Louis, nel Missouri. Immagini che hanno fatto il giro del mondo con il presidente Donald Trump in persona che si è schierato apertamente con la donna e con il suo diritto a difendere la sua proprietà, nonostante puntare un arma contro qualcuno che non ti sta aggredendo sia un reato. L’antenata di Karen viveva in Mississippi negli anni 50’, nessuno ha mai saputo il suo nome, ma è la donna che denunciò il 14enne Emmett Till di averla molestatasessualmente in un negozio di alimentari. Till fu catturato, pestato a sangue, torturato e poi linciato dalla folla che gettò il suo cadavere in un fiume.

Le accuse naturalmente erano false e quella barbara uccisione è ancora oggi uno degli eventi fondativi del movimento per i diritti civili dei neri che negli anni sessanta scosse l’America. Tra le ferite del passato e i conflitti del presente, la sistematica e ingiustificata delazione degli afroamericani ha spinto le autorità a prendere degli storici provvedimenti. Il parlamento di San Francisco ha infatto approvato lo scorso 7 luglio il cosiddetto CAREN Act, una legge per limitare l’odioso fenomeno. Il nome è un acronimo di Caution Against Racially Exploitative Non- Emergencies, che si potrebbe tradurre con “Vigilanza di fronte ai falsi allarmi motivati dal razzismo. «Queste allerte ingiustificate alimentano il razzismo, mettono le persone in pericolo e ci fanno sprecare risorse importanti», spiega il relatore della legge Matt Haney. Con buona pace delle Karen d’America.