Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha sposato la linea dura sulla questione Autostrade, tanto che la via per la richiesta al Parlamento di revoca della concessione ad Atlantia sembra ormai tracciata. Professor Sapelli, sarà lo Stato a rimpiazzare i Benetton nella gestione delle nostre autostrade? Spero di no. Non sono contrario all’ingresso in forma prioritaria dello Stato in un’azienda privata, ma dipende dal modo e dal contesto. A volte lo Stato può intervenire per supplire ai fallimenti del mercato, che sono numerosi. Ma nel caso di Autostrade per l’Italia l’errore è stato fatto a monte, o meglio, sarebbe più corretto parlare di errori, al plurale. Cioè? La teoria economica ci insegnava che un monopolio pubblico è più redditizio e più utile per i consumatori e per il bene comune rispetto a un monopolio privato. Tuttavia, privatizzando un monopolio tecnico, come le Autostrade, abbiamo commesso il primo errore, che ora paghiamo. Il secondo è stato sottoscrivere un regime concessionario troppo favorevole al monopolista privato. C’è chi, come il leader di Italia Viva Matteo Renzi, si schiera nettamente contro la revoca della concessione ed ipotizza l’entrata in Aspi di Cassa depositi e prestiti e di investitori privati. Potrebbe essere questa la soluzione? Renzi si avvicina alla verità soltanto per metà. Se ci sono investitori privati si facciano avanti e rimangano loro, Cassa depositi e prestiti ha ben altro a cui pensare. Guardiamo ai fatti: revoca vuol dire esproprio, e in un Paese dove è già difficile attirare capitali stranieri significa trasformare la nostra economia in un “capitalismo dittatoriale” sulla linea del Venezuela di Chavez e Maduro. Non si può tornare all’intervento pubblico sotto il modello della vecchia Iri, semplicemente perché viviamo in un’epoca storica diversa e occorre cambiare modello di proprietà. Cassa depositi e prestiti fu una geniale invenzione di Giulio Tremonti per fare investimenti pubblici tramite un’amministrazione per enti il cui far debito non veniva conteggiato nel debito pubblico, secondo il modello francese e tedesco. Ma ritornare a investire nello Stato in questo modo è sbagliatissimo, non ne abbiamo più bisogno. Versione integrale sull'edizione del Dubbio di martedì 14 luglio