“Almarina” è il nuovo romanzo di Valeria Parrella, finalista del premio Strega, ha ottenuto il voto dello Strega OFF 2020, assegnato al libro più votato dal pubblico e da una selezione di riviste letterarie. Il romanzo della scrittrice napoletana narra l’incontro nel carcere minorile di Nisida fra Elisabetta, insegnante di matematica cinquantenne che ha perso da poco il marito, e Almarina, una ragazza romena di sedici anni in carcere per aver rubato un telefonino e con alle spalle una storia di violenza familiare. Fra le due donne nasce un legame che non può essere spezzato, soprattutto quando si affaccia per entrambe la speranza di poter ricominciare una nuova vita.

Da dove nasce la scelta di scrivere un romanzo sull'istituto di pena di Nisida?

L'idea mi è venuta da un laboratorio di scrittura creativa che ho condotto per 4 anni a Nisida, invitata da Maria Franco. All'inizio non volevo accettare perché entravo spesso nelle carceri ma in quelle per adulti: credevo di non riuscire a sopportare la visione dei ragazzi detenuti. Poi Maria Franco, a cui non si può dire di no, mi ha convinta dicendomi “gli altri scrittori entrano, devi farlo anche tu”. Nel libro ritroviamo Maria Franco, figura potente nella realtà e nella finzione, nel personaggio di Aurora che racchiude anche me e l'insegnante di mio figlio delle elementari. Alla fine dei 4 anni di laboratorio ho chiesto ai ragazzi di scrivere qualcosa sul loro passato che fosse felice e una lettera di un ragazzo mi ha colpita particolarmente e che ritroviamo nel libro: un bambino che a 13 anni fuori dalla casa famiglia va incontro ad una donna pensando che fosse sua vera madre, ma era un’altra donna. Quando a casa lo lessi, ero così affranta che pensai che avrei dovuto scrivere un romanzo.

Lei scrive “tu guardia carceraria hai scelto la repressione”. Vuole spiegare meglio questa associazione, apparentemente netta, tra guardia e repressione?

Questo lo dice Elisabetta Maiorano che taglia la realtà con l'accetta, divide i buoni dai cattivi, i professori da un lato le guardie carcerarie dall'altro. Quello che deve imparare a fare è centrifugare le posizioni e realizzare una nuova visione. Quindi questa espressione appartiene alla visione molto parziale di Elisabetta Maiorano. Non rispecchia invece il mio pensiero.

' Sono ancora così piccoli e torneranno da dove sono venuti' ossia in quei luoghi che li hanno condotti a Nisida. Secondo lei è difficile il recupero dei ragazzi figli della camorra?

Non sono né una esperta di camorra, né una pedagogista. Sono una scrittrice. Quello che ho notato è che è sempre difficile il reinserimento nella società di un detenuto. I ragazzini sono agevolati per una questione anagrafica perché hanno tanta vita davanti. Chiaramente quello che mi viene da pensare è che se il quartiere dove ritorni dopo essere stato a Nisida non ti offre nulla, dove i servizi non funzionano e la camorra comanda è difficile che questi ragazzi possano venirne fuori. Abbiamo una bella Carta costituzionale ma se mancano i raccordi tra gli attori in gioco è difficile far funzionare le cose.

“Come può sorridere il direttore di un carcere minorile?”: secondo Lei questi istituti andrebbero superati con qualcosa di diverso?

E' sempre Elisabetta Maiorano a parlare: è una sciocchezza, io posso avere dei drammi tremendi e sorridere, oppure avere una bellissima villa a Posillipo, un buono lavoro, figli sani ed essere depresso. Quando scrive della comunità di Don Valentino, dice “è a Pozzuoli... la gente ignara passa lì accanto”. Vuole rappresentare l'indifferenza della società civile nei confronti di queste realtà?

No, non credo. Penso invece che la società, soprattutto quella napoletana, sia molto attenta e accogliente. Delle volte qualcuno non vuol far sapere i propri fatti e si vengono a sapere lo stesso, non vuole parlare con il tassista ma alla fine è lì a chiacchierarci. Credo che la realtà del sud Italia sia estremamente attenta all'altro. Quando parlo di Napoli parlò dell'Italia. Napoli è solo un punto di vista. Non è un mondo a sé, semplicemente un posto dove si vedono le cose. Forse se ne vedono di più contemporaneamente perché è un micro mondo, una città particolare ma non così particolare da essere diversa dal resto dell'Italia. Credo che l'Italia abbia un problema rispetto all'attenzione verso gli individui fragili. Si tratta di una questione governativa, non della società. Il punto è molto più personale rispetto a questa frase di Pozzuoli: se io passo perché sto andando dal notaio oppure sto andando a prendere la macchina al porto, non so nulla della persona che ho accanto. Semplicemente è un punto di vista individuale. Quando scrivo un libro non mi prefiggo nessun assunto morale: mi interessa invece comporre immagini e creare dialoghi che siano più o meno rispondenti all'orecchio che metto a terra nel sentire le persone come parlano.

Napoli che città è oggi?

È una citta che è uscita da Covid, come tutto il resto del mondo. Fa i conti con tanti posti di lavoro persi, con le scuole chiuse, con il fatto che per strada non ci sono turisti e non ci sono studenti. È una città ferita che credo si riprenderà a Natale. Ho fiducia nel Natale a Napoli.

Nel libro ci sono diversi riferimenti a Gramsci. Come mai?

È un padre politico per me: io sono comunista. È anche un padre letterario: quando qualcuno scrive di un argomento dovrebbe leggere prima tutto quello che è stato già scritto. “Lettere dal carcere” di Gramsci è una lettura imprescindibile.