L’interdittiva a carico di Rocco Greco era illegittima. A stabilirlo è il Consiglio di Stato, che ha riabilitato l’imprenditore siciliano la cui attività è stata bloccata dalla Prefettura. Troppo tardi, però, dal momento che l’uomo, che aveva denunciato i suoi estorsori contribuendo a farli condannare, un anno fa si è tolto la vita, proprio per liberare i suoi figli dal peso di quell’onta. «Il caso - si legge oggi nella decisione del Consiglio di Stato - avrebbe richiesto una piu` approfondita istruttoria, con conseguente motivazione, sui profili di attualita` del pericolo di infiltrazione, alla luce della vicenda processuale che ha visto il socio della Cosiam assolto con formula piena nonche ´ dei comportamenti tenuti dalla societa` dal 2007 in poi».

L’imprenditore, 15 anni fa, aveva denunciato i suoi aguzzini, i mafiosi che gli chiedevano il pizzo, facendoli condannare. Ma proprio quel “rapporto” con i mafiosi, che hanno tentato di strozzarlo, è diventato, tre lustri dopo, il prezzo da pagare allo Stato per aver deciso di aiutare lo Stato stesso. Con una motivazione assurda: «Nel corso degli anni ha avuto atteggiamenti di supina condiscendenza nei confronti di esponenti di spicco della criminalità organizzata gelese», recita l’informativa della ' Struttura di missione antimafia sisma'. Le persone finite in tribunale per merito di Greco, infatti, lo avevano descritto non come una vittima, ma come uno che si era avvalso della protezione e degli appoggi dei capi di Cosa Nostra. Elementi trasmessi dal tribunale alla procura di Caltanissetta, ma definiti anche dalla Cassazione un espediente difensivo manifestamente infondato. A Caltanissetta Greco era stato assolto e il processo si trovava ora in appello, ma l’interdittiva ha fatto perdere le speranze all’imprenditore, che deciso a salvare la propria famiglia ha scelto di farla finita. «Mio padre è stato ucciso da una giustizia ingiusta e superficiale perché nessuno ha mai letto i nostri ricorsi - ha più volte dichiarato il figlio Francesco -. Se non sei nella white list non lavori più. E questo era quello che era accaduto alla Cosiam, oltre 40 dipendenti che rischiavano di perdere il lavoro per sempre».

Gli avvocati della Cosiam, Giuseppe Aliquò e Franco Coccoli, avevano chiesto l’annullamento del decreto del ministero dell’Interno per violazione e falsa applicazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, dell’applicazione del principio di libertà di iniziativa economica, del principio di certezza del diritto, eccesso di potere: sviamento della causa tipica, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità ed ingiustizia manifesta. Il Tar del Lazio ha restituito una «immagine scevra da pregiudizi», sottolineando come «non si vede come altro possa reagire una impresa che non intenda farsi condizionare, se non denunciando i danneggiamenti e le richieste estorsive, presumibilmente provenienti da chi intenda assoggettarla a condizionamento». Ed aggiungono: «se è comprensibile che la vittima silente di pressioni e condizionamenti mafiosi possa ritenersi meritevole di interdittiva, posizione diversa riveste quell’imprenditore che si ribella, denuncia e chiede l’intervento repressivo dello Stato, facendo emergere proprio quei rapporti nei quali si sostanzierebbe il condizionamento mafioso. Nei suoi confronti il giudizio prognostico sfavorevole deve potere poggiare su elementi ulteriori ed aggiornati rispetto ai pregressi rapporti con appartenenti a consorterie criminali».