Si trova in carcere da gennaio dello scorso anno, con l’accusa di concorso esterno. E nonostante le persone indagate con lui per lo stesso reato siano state già rimesse in libertà, per l’avvocato Carlo Maria Romeo, 61enne di origini calabresi, «è stato previsto un rito speciale». A dirlo è il fratello Oreste Romeo, anche lui avvocato e difensore del professionista oggi in carcere a Bologna, teatro, nelle scorse settimane, di violente proteste, per via delle condizioni di insicurezza all’interno del carcere. E a pochi giorni dalla sentenza che stabilirà se Romeo è colpevole o meno, l’avvocato aspetta ancora l’esito dell’appello contro la carcerazione, che probabilmente non arriverà prima della decisione di merito.

«Per mio fratello un "rito speciale"»

  La vicenda ha a che fare con l’operazione antimafia “Geenna”, che ha scoperchiato una presunta cellula di ‘ndranghetista operante in Valle d’Aosta. In carcere, dal 23 gennaio scorso, ci sono presunti boss e affiliati e, assieme a loro, Romeo, accusato per vicende risalenti al 2011 e al 2016, rispetto alle quali si è sempre dichiarato estraneo. Si tratta, nel primo caso, di un’estorsione aggravata: Romeo sarebbe stato spalleggiatore di una richiesta illecita di denaro che un suo cliente avrebbe rivolto alla persona offesa dal reato. È questa la vicenda che dà avvio ad un iter giudiziario «costellato di inquietanti ed allarmanti stranezze», afferma il fratello. Stranezze che partono dall’iscrizione del penalista nel registro degli indagati, il 27 ottobre 2016, ovvero cinque anni e mezzo dopo i presunti fatti e tre dopo le dichiarazioni della presunta vittima (estranea a contesti di criminalità organizzata), rilasciate il 9 aprile 2013 nel corso di un’altra indagine. Nonostante ciò, però, Romeo non fu iscritto sul registro degli indagati, «non avendo ravvisato nulla di penalmente rilevante nelle dichiarazioni acquisite presso la presunta vittima del tentativo di estorsione. Ed è noto che se un pm ravvisa elementi meritevoli di iscrizione al registro degli indagati deve attivarsi in tal senso, altrimenti commette un reato», spiega il legale. Ma quella informazione, tre anni e mezzo dopo, diviene, improvvisamente, un reato. Ciò perché nell’estate del 2016, un collaboratore di giustizia, «che ha ammesso reiteratamente agli inquirenti di avere raccontato tante bugie da non ricordare più cosa fosse vero e cosa invece non lo fosse e che pretendeva in cambio della collaborazione 120mila euro o 2-3 chili di cocaina dopo avere annunciato al telefono che la prima testa a cadere sarebbe stata quella dell’avvocato Romeo», ha accusato il penalista di avere fatto da intermediario in una cessione di cocaina tra altri due suoi clienti. È così che la vicenda della tentata estorsione viene rispolverata, ma alla chiusura delle indagini Romeo, stando agli atti, ne diventa mandante. Ad incidere,  secondo il fratello, sarebbe l’origine calabrese, «essendo scattata in automatico la contestazione dell'aggravante speciale di avere favorito “la ndrangheta”».

L'accusa di concorso esterno

  Romeo, dunque, nonostante le reiterate richieste resta in carcere. E questo nonostante i presunti concorrenti nel reato «già da molto tempo ne rispondono a piede libero». Il secondo episodio contestato al penalista reggino è quello riferito da un collaboratore di giustizia, al quale sono stati negati in ogni grado di giudizio i benefici previsti per i pentiti, che attribuisce a Romeo il ruolo di intermediario di una cessione di 500 grammi di cocaina tra due suoi clienti, Bruno Trunfio e Bruno Nirta. Anche in questo caso la Procura ha avanzato l’ipotesi di aver agevolato la ‘ndrangheta, rappresentata da Trunfio (locale di Chivasso) e Nirta (locale di Aosta), accusando Romeo di concorso esterno in virtù di quella presunta cessione di droga. Ma anche qui le cose non tornano: la posizione di Trunfio è stata archiviata, mentre Nirta è stato indennizzato per ingiusta detenzione nei primi anni ‘90 per un suo coinvolgimento in contesti mafiosi rivelatosi privo di fondamento. Ma non solo: quella droga sarebbe stata custodita per conto di Nirta dal pentito Daniel Panarinfo e da tale Lucarini, già giudicati per tale fatto con sentenza irrevocabile, senza che però venisse contestata l’aggravante mafiosa.  

I coimputati liberi già da un anno

  «Ma il trattamento speciale riservato a mio fratello - continua Romeo - lo si evince anche dal fatto che gli imputati di concorso esterno in associazione mafiosa sono ai domiciliari già da un anno». Un trattamento «speciale» che si evincerebbe anche dal trattamento riservato dalla Procura che ad agosto dello scorso anno aveva mandato con sollecita urgenza gli atti al TdL per l’appello proposto dall’ex consigliere valdostano Sorbara, accusato di concorso esterno, che si era visto rigettare il 22 luglio 2019 dal gip l’istanza di attenuazione della misura carceraria nonostante il parere favorevole del pm alla ammissione ai domiciliari. E Sorbara il 24 agosto 2019 ottenne i domiciliari e lasciò il carcere grazie alla decisione assunta dal collegio feriale del TdL torinese. Ben diverso il trattamento riservato a mio fratello - spiega ancora Romeo - che impugnò nell'identico termine lo stesso provvedimento di Sorbara, rinunciando espressamente alla sospensione dei termini feriali, ma per lui la Procura inviò gli atti alla cancelleria del TdL solo un mese e mezzo dopo. E la Procura aveva dato parere contrario alla concessione dei domiciliari. In tal modo - continua il legale - la Procura ha chiaramente sottratto mio fratello al suo giudice naturale precostituito per legge, facendo sì che sulla sua posizione si pronunciassero lo stesso Collegio (identica composizione, seppure per 2/3) e la stessa giudice relatrice che già ne avevano disatteso l'istanza di riesame l'11 febbraio 2019». Il tutto rendendo disponibili alla difesa le intercettazioni e gli atti processuali «solo a considerevole distanza dagli arresti, soprattutto solo dopo avere blindato in maniera artificiosa e preordinata il titolo coercitivo, rendendo nei fatti impossibile, per mesi e mesi, l'accesso della difesa alla conoscenza di tutto il materiale probatorio».