Che differenza passa tra le i colpi di randello di Vittorio Feltri e le rasoiate di Marco Travaglio? La differenza è che il primo finisce all’indice dell’Ordine dei giornalisti, del secondo se ne discetta sulle terrazze dei potenti. Vecchi e nuovi. E’ unadiscriminazione difficile da giustificare. Perché per il resto ognuno può pensarla come vuole, magari che Feltri ha un’originalità inarrivabile per Travaglio, o che Travaglio sa usare il sarcasmo come arma contundente meglio di Feltri. In ogni caso entrambi hanno diritto di parola, entrambi pensano di appartenere ( più o meno indegnamente) a quella genia di giornalisti che sa fare dell’invettiva la sua cifra, per pane e per passione.

Cosa si sarebbero persi i lettori se Vittorio Gorresio e Giovanni Anzaldo, Curzio Malaparte e Leo Longanesi, Indro Montanelli e Fortebraccio si fossero assoggettati alla censura? Sfidarla era piuttosto un atto di eroismo, al punto che nella redazione del periodico Il Selvaggio c’era un cartello in cui stava scritto: «Qui è obbligatorio sputare». Di fatto era la linea editoriale. E lo sputo non faceva sollevare il sopracciglio all’Ordine dei giornalisti di quei tempi. Ché poi l’unico a pagar per tutti fu il povero Giovanni Guareschi, per la vignetta in cui ritrasse il presidente della Repubblica Luigi Einaudi mentre passava in rassegna i corazzieri, disegnati come bottiglie di Barolo.

La galera del pensiero era e resta roba di regime. Solo che negli anni, finiti in saldo fascismo e comunismo, è arrivato il surrogato del politicamente corretto, la logica del mee- too senza se e senza ma ( a volte senza prove). E oggi i loro epigoni si scagliano contro le statue e la storia, come i puritani gettavano nel Tamigi le tele di Rembrandt. Così le grandi battaglie di civiltà contro i drammi del razzismo e dell’oppressione della donna vengono svilite fino a essere ridotte a evento mediatico. E se Charles Leclerc non si inginocchia insieme a Luis Hamilton, è costretto a spiegare per difendersi dall’insinuante dubbio che non abbia scelto da che parte stare, nell’aberrante vicenda di un inerme uomo di colore soffocato da un omicida bianco con la divisa.

Eccole le catene invisibili del perbenismo totalitario, brodo ideologico del moderno conformismo che si va spandendo per le redazioni ( anche) italiane. Che i giornalisti non lo capiscano fa impressione. Che si accuccino per quieto vivere fa ribrezzo. Che addirittura abbraccino il nuovo regime per emarginare un iconoclasta e tutelare un altro, è scandaloso. Si può dire scandaloso?