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HomeGiustizia
Giustizia Simona Musco 3 Jul 2020 08:30 CEST

Avvocati costretti a pagare per conoscere le date del rinvio: polemica a Napoli

Napoli, la nota del Coa contro la decisione della cancelleria: «Nulla impedisce al difensore di chiedere informazioni circa il rinvio del processo»
Un'immagine del Palazzo di giustizia di Napoli

Una marca da bollo per conoscere la data di rinvio di un processo. Accade al tribunale di Napoli, dove il coordinamento del settore dibattimento detta le regole agli avvocati, imponendo un pagamento per poter consultare o ritirare le copie degli atti o, semplicemente, per conoscere le date di rinvio dei processi. Una decisione che segna l’avvio della “Fase 3”, dopo settimane di polemiche tra avvocatura e personale di cancelleria, ora destinate ad acuirsi. «Le richieste di conoscere le date di rinvio – recita il documento – dovranno essere fatte per iscritto e sulle stesse deve essere apposta la marca di 3,87 euro». Ma non solo, non saranno possibili richieste cumulative, motivo per cui per ogni atto gli avvocati dovranno apporre l’apposita marca da bollo e, dunque, pagare.

La circolare – sospesa nella serata di ieri dal dirigente amministrativo – dettava dunque una serie di regole per l’accesso ai servizi, raccomandando, inoltre, «di non fare polemiche inutili, ma di essere ferrei nel far rispettare le file, ricordando che il mancato rispetto non solo potrà creare problemi di ordine pubblico e salute pubblica, ma anche problemi al regolare espletamento del servizio». Una disposizione che trova il suo fondamento in una comunicazione inviata a tutte le sezioni di cancelleria, secondo la quale gli avvocati «sono tenuti a rimanere in udienza fino alla lettura del dispositivo», motivo per cui se l’avvocato vuole accedere agli atti in un secondo momento deve pagare i diritti. Insomma, chi vuole conoscere l’esito del proprio processo deve rimanere in attesa della lettura della sentenza o, in alternativa, decidere di pagare un obolo.

La disposizione è stata subito contestata dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Napoli, che ha espresso «fermo dissenso per il contenuto del documento suddetto che appare ledere gravemente i diritti e le facoltà assicurate dalla legge agli utenti del settore giustizia e in particolare agli avvocati costituiti nel processo». Per gli avvocati, infatti, è «provocatorio pretendere il pagamento di diritti di cancelleria per ottenere informazioni (verbali, non già certificazioni scritte) come da prassi e come previsto dalla legge processuale. Sotto questo profilo va appena evidenziato che, avendo il difensore costituito diritto di accedere, negli orari di apertura della cancelleria, a pena di nullità processuali valutabili ex articolo 178 lettera c) del codice di procedura penale, a tutti gli atti costituenti il fascicolo processuale, è quanto mai ovvio che il medesimo abbia diritto a leggere anche il verbale dell’ultima udienza che conterrà anche la ordinanza di rinvio del processo ex articolo 477 del codice di procedura penale».E se l’avvocato ha diritto a consultare liberamente il verbale contenente la ordinanza di rinvio, afferma il Consiglio dell’ordine, «non si vede perché lo stesso non possa limitarsi a chiedere al cancelliere informazioni circa il rinvio che quel verbale documenta. Dunque nulla e davvero nulla impedisce al difensore di chiedere, a buon diritto, informazioni circa il rinvio del processo».

Gli avvocati, contesta il Coa, hanno diritto a conoscere non soltanto le ordinanze di rinvio ma anche gli esiti dei giudizi dal contenuto decisorio (i dispositivi letti dal giudice in udienza), che ben potrebbero, come più volte richiesto da questo Consiglio, essere comunicati via Pec ai difensori costituiti anche quale utile misura per favorire la riduzione della necessità dell’accesso dei difensori alle cancellerie penali». Anche perché è prassi diffusa dei giudici quella di leggere tutti i dispositivi a fine giornata, anziché alla conclusione del singolo processo, una metodologia che, soprattutto in un periodo come quello attuale che richiede accessi limitati in Tribunale, «rende impossibile per il difensore esser presente alla lettura del dispositivo, che spesso avviene molte ore dopo la fine del suo processo».

Infine, afferma il Consiglio dell’ordine, «si auspica che gli autori del documento vogliano precisare che l’annotazione degli avvocati che accedono alle cancellerie senza prenotazione costituisca semplicemente una misura di precauzione ai fini sanitari alla stessa stregua della prenotazione – conclude il documento -. Per tali motivi, il Consiglio attende urgenti provvedimenti a tutela dei diritti e delle facoltà degli avvocati».

Un'immagine del Palazzo di giustizia di Napoli
 
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