Dopo la chiusura degli Stati Generali e‘ l’ora delle scelte. Per fare quelle giuste bisogna che la politica si metta in sintonia con la realtà, mettendo in ordine le priorità.
Qualche giorno fa l’Ispettorato del lavoro ha comunicato le cifre delle dimissioni volontarie del 2019. Più di 37000 madri hanno lasciato il lavoro. Per i costi hanno detto, per la mancanza di parenti cui affidare i figli, per gli orari di lavoro. Un elenco di ragioni che fotografa un paese, il nostro, ne’ per donne, ne’ per madri, ne’ per bambini. Perché quelle motivazioni parlano di servizi carenti e cari e di rigidità nell’organizzazione del lavoro delle imprese.
Nel 2019. A scuole aperte, prima del Covid. Non bisogna essere preveggenti per immaginare come saranno i dati del 2020 senza interventi forti, con la chiusura delle scuole, la fragilità dei nonni, il lockdown, la crisi economica che ha investito come effetto della pandemia settori ad alta occupazione femminile.
Cifre che parlano. Eppure non dicono ancora tutto. Non dicono cioè della differenza tra desiderio di maternità e paternità e realtà: che è esattamente il doppio di quanto le persone si possano permettere. Mentre per il 2020 si prevede un ulteriore calo delle nascite. Al di sotto della soglia di 400 mila nuovi nati che sembrava la soglia limite.
Ma tutto ciò non è un problema delle donne, e neppure delle madri o dei padri, è un problema del paese.
E anche successo nei mesi del lockdown che i 570000 lavoratori e lavoratrici in Smart working di gennaio 2020 diventassero rapidamente 8 milioni.
La pandemia e’ diventata il più grande acceleratore della trasfor-mazione del lavoro. Con il lavoro agile cambia il modo delle persone di vivere nel proprio ambiente privato e nello spazio pubblico e cambia il contesto. Ma anche in questo caso non è un problema delle donne. Ma del paese. Nè lo smart working puo’ essere utilizzato contro le donne come sarebbe nei fatti se lo si pensasse come strumento dedicato all’occupazione femminile. A certificare che la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro è un affare che riguarda loro. Come a dire, un aiuto alla cristallizzazione degli stereotipi. E anche il gender gap non è un problema delle donne. Qualche giorno fa l’ha detto il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa condannando il nostro Paese per aver fatto insufficienti progressi nel promuovere uguali opportunita’ per pari retribuzioni. Non perché ha mancato di modificare leggi e contratti, perché in Italia la parità salariale esiste. Nelle leggi e nei contratti.
A scavare, soprattutto nel lavoro dipendente, le differenze retributive nascono per tutte quelle erogazioni salariali non contrattate e per quelle legate alla presenza. Perché sono le donne ad accumulare le assenze legate alla cura delle persone. Perciò la terapia per rimediare al più grande furto della storia, come è stato definito il Gender gap, consiste nella condivisione tra donne e uomini delle responsabilità della cura e nel riconoscimento del valore del lavoro di cura come contributo alla ricchezza del paese e alla sua sostenibilità, piuttosto che come assenze.
Non dare valore al prendersi cura della comunità e’ forse un problema delle donne ? No, è un problema del paese. Come ha dimostrato il Covid 19.
Come lo è la bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro, che si paga in termini di svariati punti di Pil, il 7 % dice Banca d’Italia, per usare un linguaggio che dovrebbe essere più comprensibile. Come sono un problema del paese gli investimenti insufficienti in infrastrutture sociali, materiali e immateriali, in istruzione e ricerca. Oggi che la grande vulnerabilità del nostro modo di vivere e di produrre è venuta fuori in modo così netto, e’ oggi che la consapevolezza di quali sono i problemi del paese è decisiva per realizzare le grandi riforme necessarie al loro superamento. Anche con le risorse messe a disposizione dalla nuova solidarietà europea. Anche con quelle del MES. Ed è oggi che non è più sopportabile la miopia dell’esclusione di questa consapevolezza dalle scelte politiche. Ne’ l’esclusione delle donne dai luoghi delle scelte. E infatti molte voci collettive di donne si sono alzate in questi mesi. E continuano a levarsi.
In realtà è tutto molto chiaro: un paese per donne e uomini e’ un paese migliore, piu’ moderno e solidale. Non è sicuro che sarà il paese del futuro. Dipenderà anche da chi guidera’ i processi di oggi e dalla capacità delle donne nelle istituzioni, in parlamento, dentro e fuori i partiti di imporre gli aut aut che servono.
Il dramma delle dimissioni volontarie. Troppe donne costrette a lasciare il lavoro
Dopo la chiusura degli Stati Generali e‘ l’ora delle scelte. Per fare quelle giuste bisogna che la politica si metta in sintonia con la realtà, mettendo in ordine le priorità.
Qualche giorno fa l’Ispettorato del lavoro ha comunicato le cifre delle dimissioni volontarie del 2019. Più di 37000 madri hanno lasciato il lavoro. Per i costi hanno detto, per la mancanza di parenti cui affidare i figli, per gli orari di lavoro. Un elenco di ragioni che fotografa un paese, il nostro, ne’ per donne, ne’ per madri, ne’ per bambini. Perché quelle motivazioni parlano di servizi carenti e cari e di rigidità nell’organizzazione del lavoro delle imprese.
Nel 2019. A scuole aperte, prima del Covid. Non bisogna essere preveggenti per immaginare come saranno i dati del 2020 senza interventi forti, con la chiusura delle scuole, la fragilità dei nonni, il lockdown, la crisi economica che ha investito come effetto della pandemia settori ad alta occupazione femminile.
Cifre che parlano. Eppure non dicono ancora tutto. Non dicono cioè della differenza tra desiderio di maternità e paternità e realtà: che è esattamente il doppio di quanto le persone si possano permettere. Mentre per il 2020 si prevede un ulteriore calo delle nascite. Al di sotto della soglia di 400 mila nuovi nati che sembrava la soglia limite.
Ma tutto ciò non è un problema delle donne, e neppure delle madri o dei padri, è un problema del paese.
E anche successo nei mesi del lockdown che i 570000 lavoratori e lavoratrici in Smart working di gennaio 2020 diventassero rapidamente 8 milioni.
La pandemia e’ diventata il più grande acceleratore della trasfor-mazione del lavoro. Con il lavoro agile cambia il modo delle persone di vivere nel proprio ambiente privato e nello spazio pubblico e cambia il contesto. Ma anche in questo caso non è un problema delle donne. Ma del paese. Nè lo smart working puo’ essere utilizzato contro le donne come sarebbe nei fatti se lo si pensasse come strumento dedicato all’occupazione femminile. A certificare che la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro è un affare che riguarda loro. Come a dire, un aiuto alla cristallizzazione degli stereotipi. E anche il gender gap non è un problema delle donne. Qualche giorno fa l’ha detto il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa condannando il nostro Paese per aver fatto insufficienti progressi nel promuovere uguali opportunita’ per pari retribuzioni. Non perché ha mancato di modificare leggi e contratti, perché in Italia la parità salariale esiste. Nelle leggi e nei contratti.
A scavare, soprattutto nel lavoro dipendente, le differenze retributive nascono per tutte quelle erogazioni salariali non contrattate e per quelle legate alla presenza. Perché sono le donne ad accumulare le assenze legate alla cura delle persone. Perciò la terapia per rimediare al più grande furto della storia, come è stato definito il Gender gap, consiste nella condivisione tra donne e uomini delle responsabilità della cura e nel riconoscimento del valore del lavoro di cura come contributo alla ricchezza del paese e alla sua sostenibilità, piuttosto che come assenze.
Non dare valore al prendersi cura della comunità e’ forse un problema delle donne ? No, è un problema del paese. Come ha dimostrato il Covid 19.
Come lo è la bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro, che si paga in termini di svariati punti di Pil, il 7 % dice Banca d’Italia, per usare un linguaggio che dovrebbe essere più comprensibile. Come sono un problema del paese gli investimenti insufficienti in infrastrutture sociali, materiali e immateriali, in istruzione e ricerca. Oggi che la grande vulnerabilità del nostro modo di vivere e di produrre è venuta fuori in modo così netto, e’ oggi che la consapevolezza di quali sono i problemi del paese è decisiva per realizzare le grandi riforme necessarie al loro superamento. Anche con le risorse messe a disposizione dalla nuova solidarietà europea. Anche con quelle del MES. Ed è oggi che non è più sopportabile la miopia dell’esclusione di questa consapevolezza dalle scelte politiche. Ne’ l’esclusione delle donne dai luoghi delle scelte. E infatti molte voci collettive di donne si sono alzate in questi mesi. E continuano a levarsi.
In realtà è tutto molto chiaro: un paese per donne e uomini e’ un paese migliore, piu’ moderno e solidale. Non è sicuro che sarà il paese del futuro. Dipenderà anche da chi guidera’ i processi di oggi e dalla capacità delle donne nelle istituzioni, in parlamento, dentro e fuori i partiti di imporre gli aut aut che servono.
* presidente di Led, Libertà e diritti
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