Uno spiraglio per una riforma non a costo zero della Giustizia. Si potrebbe riassumere con queste parole l’esito del tavolo di ieri tra il Guardasigilli Alfonso Bonafede, Consiglio nazionale forense, Organismo congressuale forense, Unione nazionale delle Camere civili e Associazione nazionale magistrati. Un tavolo dal quale i partecipanti sono andati via con cauto ottimismo e una promessa: una discussione, tutta politica, per far sì che finalmente si investa seriamente nella Giustizia. Questa volta senza vincoli e ascoltando fino in fondo la voce dell’avvocatura, pronta a mettere sul piatto le proprie proposte tecniche e “scrivere”, assieme al Governo, la riforma. Il punto di partenza è riassunto dalle parole di Antonio De Notaristefani, presidente dell’Uncc: la crisi epidemiologica, e quindi economica, ci lascia in eredità un Paese con 15 punti in meno di Pil. E per l’economia di un Paese, una Giustizia civile che funzioni, come ha ricordato l’Ue, è «fondamentale».

«Un piano straordinario per la Giustizia»

  Sul piatto c’è già una proposta di legge delega per la riforma, attualmente ferma in Commissione Giustizia, che «presenta alcune cose oggettivamente apprezzabili - ha spiegato De Notaristefani -, come la soppressione del filtro in appello o la riformulazione della fase della sospensiva, ma anche molte altre cose, la maggior parte, sulle quali eravamo in disaccordo». Ma al di là dei tecnicismi, il punto è che i tempi sono cambiati. «Rispetto ad un progetto che risale ai primi di quest’anno - ha sottolineato -, questi cinque mesi trascorsi sono in realtà un’epoca totalmente diversa. Ciò che poteva andar bene allora non può andar bene oggi. Il che significa che non si può più pensare ad una riforma a costo zero, perché sappiamo tutti che la Giustizia civile ha un impatto sull’economia, è un dato acquisito». Quel che serve è, dunque, «un piano straordinario per la Giustizia». Partendo dai fondi stanziati con il Recovery Fund, 175 miliardi dei quali un quarto è destinato proprio alla Giustizia. E mai, di certo, si è potuto contare su cifre del genere per scrivere le riforme. «Discutere del progetto di riforma ha senso solo in una prospettiva molto più ampia, che tenga conto del fatto che il nostro Paese si deve riprendere da una delle crisi più gravi del dopoguerra - ha spiegato De Notaristefani -. Nello stesso tempo, forse per la prima volta, è ipotizzabile destinare risorse importante alla Giustizia, senza toglierle alla scuola o alla sanità, si tratterebbe di risorse aggiuntive. Serve un intervento davvero serio e non a costo zero».

Dall'avvocatura «proposte tecniche»

  Bonafede ha dato la sua disponibilità: la scelta è, chiaramente, di tipo politico e non tecnico. Serve dunque un brainstorming con gli altri membri del Governo, che potranno contare sui documenti che verranno predisposti, nelle prossime settimane, da avvocatura e magistratura. Solo dopo si tornerà di nuovo al tavolo, per conoscere l’esito della consultazione politica. «Bisogna trasformare in opportunità la crisi - ha aggiunto il leader dell’Uncc -, che come tutte le situazioni gravi può costituire un’occasione di ricostruzione, a maggior ragione se sono venuti meno quei vincoli di bilancio che impedivano di investire nella Giustizia».

La sperimentazione tecnologica

  Durante il tavolo si è anche fatto cenno alla volontà di Bonafede di sperimentare gli strumenti tecnologici utilizzati durante l’emergenza, soprattutto per le udienze da remoto. Una possibilità non esclusa a priori dai civilisti, ma ad un patto: la promessa, tutt’altro che secondaria, che siano gli avvocati a scegliere il modo migliore in cui difendere i propri clienti. «La tecnologia e quindi le udienze da remoto possono senz’altro rappresentare un’opportunità anche molto utile e quindi ci va benissimo che vengano utilizzate, ma devono essere scelte dagli avvocati e non imposte. Su questo la posizione dell’Uncc è irremovibile - ha concluso De Notaristefani -. La tecnologia deve essere un’opportunità che amplia le possibilità di difesa e non una limitazione. Il processo civile è dei cittadini, non dei giudici. Quindi devono essere i cittadini, attraverso i loro avvocati, a scegliere la tipologia di udienza che secondo loro è più rispondente ai loro interessi. Nessuno potrà mai dirci “tu devi difendere in questo modo”. Lo decidiamo noi».