Quando, nel giugno 2017, il signor Carlo Bonomi da Crema, allora cinquantunenne, a capo di un’azienda nel settore biomedicale, arrivò alla guida di Assolombarda disse che l’organizzazione degli imprenditori lombardi si sarebbe fatta «promotrice di una serie di iniziative volte a ridisegnare visione, capacità di proposta, incisività nell’agenda pubblica, in modo più adeguato alle nuove specificità che la questione settentrionale pone come sfida alle nostre imprese». Da allora a adesso, che è diventato il presidente di Confindustria, Bonomi non ha cambiato idea sulla specificità, la capacità di proposta e l’incisività della “questione settentrionale”. Quello che è cambiato è che adesso Bonomi fa “agenda politica” in proprio.

La “questione settentrionale” ha condizionato l’agenda politica di questo Paese per più di vent’anni: non solo per via della Lega di Bossi e dell’invenzione della Padania contro Roma ladrona ma anche per l’impronta di Berlusconi che sin dal tempo della sua “discesa in campo” non mancava mai di ricordare che lui era un imprenditore e che solo per la necessità di tutelare le aziende ( non solo le sue, eh) era stato costretto a mescolarsi con la politica. E in fondo anche l’ulivista Romano Prodi era un uomo del Nord, nonostante tutta la sua carriera fosse stata di dirigente pubblico e d’azienda e benché impregnato di un “modello emiliano” che combinava cooperative, imprenditorialità e Stato. In una sorta di “mondo del sottosopra” la questione meridionale che era stata un pilastro della visione costituente e di tutta la programmazione economica degli anni cinquanta e sessanta, e aveva accelerato le trasformazioni al Sud e quindi dell’intero Paese, si era rovesciata nel suo opposto, fino a entrare in sentenza costituzionale: non esistevano più “aree svantaggiate”.

Ma il Nord ora non ha più padrini politici – ora che la Lega, con Salvini, è diventata sovranista e nazionalista, attenta a recuperare consenso, magari chiudendo due occhi sul ceto politico collettore di voti, nelle regioni meridionali. Che è come dire che l’imprenditoria padana è rimasta senza rappresentanza politica. E tanto più durante l’epidemia e nel pensare al dopo- epidemia. Bonomi non ha un partito, non può fare di Confindustria un partito – ma può fare qualcosa anche di più: mettere l’agenda imprenditoriale del Nord al centro della programmazione di governo. Il ragionamento è lucido nella sua crudezza: la Lombardia, da sola, rappresenta più del 20 percento del Pil italiano, e in Lombardia sta buona parte delle filiere produttive che legano questo Paese al mercato europeo e mondiale. L’epidemia ha “sospeso” tutto questo, ha sospeso produzione, ha sospeso logistica, ha sospeso mercati. Certo, ha sospeso tutto in tutto il mondo – ma non solo l’impatto del contagio e le misure governative di contenimento sono state qui più dure che altrove, il fatto è che gli altri sono già in ripartenza, e noi siamo ancora al palo. L’Europa sta allentando, e di molto, i vincoli di bilancio; l’Europa sta pure allargando la borsa, e non di poco: se vogliamo ricostruire il Paese, se non vogliamo perdere l’aggancio con la produzione e il mercato mondiali non si può che ripartire da dove già c’era una infrastruttura adeguata, il Nord. È al Nord che devono andare le risorse. Se non fosse così, se quel 40 percento di Pil che si produce tra Lombardia, Veneto e Emilia ( che poi sono le regioni che, prima dell’epidemia, spingevano per “l’autonomia differenziata”), ovvero la locomotiva del sistema- paese dovesse fare a mezzi le risorse disponibili inseguendo un soggetto sociale di qua e un soggetto sociale di là, finirebbe con il perdere la spinta propulsiva, con il bloccarsi bloccando l’intero paese.

È evidente che questa “politica bonomiana” possa andare in conflitto con il governo, che sembra più attento – d’altronde, è il suo mestiere – a stemperare, a ammorbidire, a posticipare ogni ragione di sofferenza in tutto il Paese: e allunghiamo la Cassa integrazione, e sospendiamo i licenziamenti, e provvediamo dei bonus per questo e per quello, e rimandiamo i pagamenti e le riscossioni, eccetera eccetera. Non solo, ma sia dal “piano Colao” che dagli Stati generali è venuto fuori un affastellarsi di proposte, di esigenze, di desiderata le cui grida di dolore trovano orecchie sensibili nel governo Conte. Troppi assai sono a gridare, e le urla arrivano confuse.

Bonomi, invece, sembra avere in testa un solo “piano”: tutte le risorse al Nord, mano libera alle imprese. C’è anche una “leva” forte nelle mani di Confindustria, che non si perita di dirlo a chiare lettere: senza aiuti saremo costretti a licenziare – e poi, ve la vedete voi come fare.

Per chi invece conosce i numeri della realtà al Sud, le cose sono diametralmente opposte: la crisi del 2007- 2008 ha vieppiù allargato la forbice tra il nord e il sud del paese, la locomotiva ha perso i suoi vagoni. E la crisi dell’epidemia cade su questa situazione approfondendola. È, a esempio, il punto di vista del ministro Provenzano e del suo “Piano Sud 2020”, redatto a fine dell’anno scorso e, a parte le risorse che si ipotizzavano allora e potrebbero essere ben diverse ora, è rimasto un pacchetto praticamente pronto e invariato. Peraltro, intercetta linee- guida europee per gli investimenti: digitalizzazione, innovazione e ricerca ( scuola, università), green – ma occorre anche ammodernare in infrastrutture materiali e in logistica. Purché si parta dalla considerazione che il Sud può essere una risorsa ( ogni euro investito qui produce uno 0,30 per il Nord) e una prospettiva.

Anche l’Osservatorio Banche Imprese di Economia e Finanza ( Obi) di Bari, insieme a realtà accademiche, imprenditoriali, associative, ha da dire la sua, in una “piattaforma di progetto” che si chiama “Meridione in progress”, e il cui sottotitolo ha un carattere quasi provocatorio: Non siamo meridionalisti. E “non sono meridionalisti” – forse volendosi scrollare di dosso sin da subito un’etichetta di assistenzialismo – perché pensano e propongono uno sviluppo “a due locomotive”, una al Nord e una al Sud, dove peraltro si potrebbe combinare una nuova centralità della meccanica – a esempio con l’automotive di Pomigliano e Melfi – con un turismo non più solo balneare. Questo è lo stato dell’arte: Nord, Sud – divisi nella lotta.