Sono stati 24 i suicidi carceri italiane dall’inizio dell’anno fino a oggi, «un numero, per quanto può contare una valutazione parziale, superiore a quello dell’ultimo anno: alla stessa data di oggi erano 20 nel 2019». È quanto si legge nella relazione al Parlamento 2020 del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute e private della libertà personale, Mauro Palma. «Occorre segnalare inoltre che ben cinque suicidi hanno coinvolto persone che in libertà erano senza fissa dimora e che in più di un caso si è trattato di persone che avevano appena fatto ingresso in Istituto e, conseguentemente, erano state collocate in isolamento sanitario precauzionale, come avviene per tutti i nuovi giunti», ha chiarito.

Oltre 7.700 detenuti in meno da febbraio

  Tra i mesi di marzo e di giugno si è registrato un notevole calo delle presenze in carcere: al 29 febbraio 2020 le persone detenute negli istituti penitenziari erano 61.230 e sono scese al 23 giugno a 53.527, con una riduzione di oltre 7.700 unità. «L’emergenza sanitaria ha evidenziato le preesistenti carenze e criticità del sistema penitenziario - ha sottolineato Palma -, enfatizzando la sua inadeguatezza a far fronte al fenomeno che si stava presentando: sovraffollamento degli Istituti, mancanza di spazi destinabili alle necessità sanitarie, diffuso degrado strutturale e igienico in molte aree detentive, debolezza del servizio sanitario». Le novità legislative introdotte, secondo il Garante, hanno prodotto «effetti diretti piuttosto contenuti, ma hanno certamente dato l’avvio a un orientamento generale da parte della magistratura di sorveglianza che, anche trattando con la tempestività dovuta le istanze giacenti da tempo, ha contribuito con i propri provvedimenti alla consistente riduzione delle presenze in carcere» tra marzo e giugno. Attualmente, vi sono 867 persone detenute che scontano una pena inferiore a un anno e 2.274 una pena compresa tra uno e due anni (pena inflitta e non residuo di pena maggiore) e 13.661 persone detenute che hanno un residuo di pena inferiore a due anni. Situazioni che - secondo Palma - pongono interrogativi circa il loro mancato accesso a misure alternative e che fanno emergere una dimensione «classista» del sistema ordinamentale.

Palma: «Bene l'introduzione di un reato per reprimere ogni ipotesi di tortura»

  Palma ha anche ribadito «il valore dell’introduzione nel corpo della legislazione penale di una fattispecie di reato destinata a reprimere ogni ipotesi di tortura, come dato costitutivo di uno Stato di diritto». La fattispecie del reato di tortura prevista dall’articolo 613-bis del codice penale, si afferma nella relazione, ha «iniziato a dare prova di sé nel corso del 2019, anche con l’avvio di indagini su fatti avvenuti in alcuni istituti penitenziari»: il Garante ha ricordato in particolare che le procure di Napoli, Siena e Torino hanno aperto ognuna un procedimento penale ravvisando il delitto di tortura in atti di violenza e di minaccia compiuti da operatori della Polizia penitenziaria nei confronti di persone detenute.

«A monte delle proteste anche una comunicazione sbagliata»

  «A monte delle proteste c’è stata anche una comunicazione sbagliata, tendente a presentare le misure che necessariamente si stavano per adottare come totalmente preclusive di ogni possibilità di contatto con l’esterno e di proseguimento di percorsi avviati», continua la relazione, con riferimento alle proteste e i disordini in carcere «che hanno segnato i tempi recenti, con gravissime conseguenze: 14 detenuti morti». Un «evento tragico che è stato rapidamente archiviato, quasi come "effetto collaterale" delle rivolte», ha aggiunto il Garante nazionale, che si è presentato come persona offesa nei procedimenti relativi all’accertamento delle cause dei decessi. «Quando l’8 marzo si è avuta notizia dell’approvazione del decreto legge che, invece, limitava soltanto e per quindici giorni i colloqui con le persone di riferimento e annunciava la loro sostituzione con l’incremento dei contatti telefonici e l’utilizzo di videochiamate - ha aggiunto - la sensazione è stata quella dell’avvio dell’annunciata segregazione totale. A Modena, si è temporalmente connessa con l’annuncio del primo caso accertato di positività di una persona detenuta».

Sovraffollamento: «Si poteva fare di più»

  La risposta del Governo contro il sovraffollamento carcerario durante il periodo di emergenza sanitaria è stata «un primo passo importante, soprattutto da punto di vista culturale, nella direzione dell’obiettivo di ridurre quella densità di popolazione detenuta negli istituti che, nell’occasione dell’emergenza sanitaria, dava con evidenza il segno della sua insostenibilità». Ma per Palma si tratta di un «primo passo cui avrebbero dovuto seguirne altri più incisivi anche al fine di affrontare una criticità sistemica che richiede un ripensamento complessivo sull’esecuzione delle pene e sulla unicità della pena carceraria come sistema di risposta alla commissione del reato».

284 contagi in carcere dall'inizio dell'epidemia

  Sono stati 284 i casi di contagio Covid registrati nelle carceri italiane dall’inizio dell’epidemia, dato aggiornato al 18 giugno. Tra questi, 33 sono stati ricoverati in ospedale, mentre 834 sono stati gli isolamenti precauzionali di asintomatici in camera singola (più 500 in camera multipla), oltre a 22 isolamenti di sintomatici in camera singola e 8 in camera multipla. Oltre 7mila (7.188) i tamponi effettuati. Cinquantuno gli esiti positivi su personale dell’Amministrazione penitenziaria.

Nei Cpr situazioni al limite

  Nei Centri di permanenza per il rimpatrio la situazione è anche «peggiore di quella degli istituti di pena, se non altro per il vuoto di tutela che la caratterizza». Palma ha sottolineato come «non abbia mosso passi significativi l’auspicato processo di definizione con norma primaria di un quadro organico di regole per la detenzione amministrativa, in grado di tutelare maggiormente le persone, anche in considerazione dell’estensione dei termini di trattenimento» introdotta dal decreto sicurezza. Nel 2019 sono transitati nei Cpr 6.172 migranti, 5.508 uomini e 664 donne. I Paesi di origine più rappresentati sono Tunisia (2117), Marocco (788), Nigeria (734), Egitto (328), Albania (282), Cina (218), Senegal (176), Gambia (155), Georgia (144) e Romania (140). Tra i motivi di uscita dai Centri, il più frequente (28%) è il trattenimento non convalidato da parte dell’autorità giudiziaria, per mancata convalida o mancata proroga. Negli hotspot, sempre l’anno scorso, sono entrati 7.757 stranieri (5.196 uomini, 952 donne e 1.609 minori). I rimpatriati sono stati 6.531 (a fronte dei 6.398 dell’anno precedente), per lo più tunisini (1.739), albanesi (1.228), marocchini (986), nigeriani (384) ed egiziani (363): gli espulsi con provvedimento di pubblica sicurezza sono stati 4.653 e gli espulsi con provvedimento dell’autorità giudiziaria 880 mentre i respingimenti del questore sono stati 998. I rimpatri forzati con voli charter hanno riguardato 1.864 persone (di cui 1.345 tunisini). Tra il marzo del 2019 e i primi mesi di quest’anno il Garante ha monitorato 46 voli di rimpatrio forzato.