Abbiamo condiviso e sostenuto le ragioni della mobilitazione dei lavoratori dell’Ex- Ilva in sciopero per difendere il diritto al lavoro e la continuità produttiva degli stabilimenti Arcelor Mittal. In queste ultime settimane, cosi come per tutti i mesi passati, l’azienda si è dimostrata un interlocutore inaffidabile, con una gestione cinica e predatoria. A quanto si apprende le nuove linee del piano industriale anticipate al Governo sono del tutto inaccettabili, frutto di un metodo unilaterale, in cui le relazioni industriali sono state gravemente mortificate. Il risultato oggi è sotto gli occhi di tutti. Siamo di fronte a richieste e pretese che rasentano la provocazione.

Ecco perche’ ieri abbiamo detto con chiarezza al Governo di uscire dal torpore e di mettere in campo azioni e decisioni per far valere gli impegni presi dal Gruppo nell’Accordo del settembre 2018. Non è più accettabile lo scaricabarile ed il rinvio delle iniziative che riguardano il futuro della produzione di acciaio nel nostro Paese.

Le responsabilità del Governo e della proprietà non possono sempre ricadere sulle spalle dei lavoratori. Ci sono relazioni da ricucire, ma anche clausole contrattuali da far pesare nel caso malaugurato in cui si dovesse continuare secondo una logica di rapporto di forza. Se l'azienda vuole sfilarsi lo dica e si prepari a pagare penali salate.

Noi restiamo all'accordo che impegna la proprietà ad esuberi zero, al recupero dei lavoratori in cassa integrazione e in Amministrazione straordinaria, alla tutela piena dei dipendenti dell'indotto e dell’appalto.

La Cisl chiede all'Esecutivo il massimo impegno per stringere la proprietà alle proprie responsabilità rispetto agli investimenti in materia di sicurezza, sul pieno rispetto della capacità produttiva, sull'aggiornamento e la riqualificazione degli impianti a caldo, sul piano ambientale ed il risanamento ecologico.

La vertenza sull’ex- Ilva è diventata l’emblema di un Paese che non riesce a trovare la propria bussola industriale. Da un lato, la leggerezza di un Governo che ha fatto l’errore clamoroso di negare lo scudo penale, dall’altro la grave irresponsabilità mostrata fin qui da un’azienda che, nonostante le intese sottoscritte, rallenta gli investimenti, rinvia gli interventi sull’ambientalizzazione, annuncia tagli alla produzione e all’occupazione.

È tempo di invertire la rotta: il governo e l’ Azienda devono assicurare continuità occupazionale e produttiva in tutti gli impianti presenti nel Paese per un effettivo rilancio della siderurgia italiana.

Quello dell’acciaio è un asset di cui non possiamo fare a meno: rinunciare a produrlo in maniera pulita e sostenibile ci condannerebbe al declino. Sfilarsi vorrebbe dire bruciare miliardi di euro, decine di migliaia di posti di lavoro, danneggiare a cascata intere filiere della manifattura e dell’indotto.

Vanno sfruttate tutte le flessibilità e gli strumenti che ci sono concessi oggi dall’Europa per affrontare in positivo la transizione e trovarci finalmente riallineati con gli standard produttivi, competitivi ed ambientali delle altre grandi nazioni.

Perdere questa occasione sarebbe disastroso per tutti. Il governo elabori dunque una strategia sulla nostra siderurgia in grado di assicurare rilancio occupazionale e produttivo e da inserire dentro una politica industriale sostenibile e innovativa.