In carcere fin dall’ 83 con tanto di condanna all’ergastolo, ma dopo un lungo percorso trattamentale è riuscito ad ottenere i primi benefici e infine nel 2006 la semilibertà per poter lavorare. Finalmente, dopo decenni, il suo percorso era proiettato verso il reinserimento graduale nella società come prevede la finalità della pena prevista dalla costituzione italiana. Nel 2012 però il tribunale di sorveglianza gli ha revocata la misura a seguito di un rinvio a giudizio perché accusato di aver ricostituito il clan calabrese.

Parliamo di un processo che all’epoca fu abbastanza famoso. Era l’operazione “Tela del ragno” relativo all’indagine su dei clan della ‘ ndrangheta attivi nella zona del tirreno cosentino e su decine di omicidi. Nel 2017 è stato assolto in appello e i Pm non hanno fatto ricorso. Assoluzione piena. Lui non aveva nulla a che fare con quella vicenda per la quale però altri sono stati condannati. A quel punto i legali hanno chiesto al Tribunale di Sorveglianza bolognese di ripristinare i benefici. Ma nulla da fare. Dal provvedimento che Il Dubbio ha potuto visionare si evince che il giudice, pur prendendo atto dell’assoluzione, ha respinto la richiesta perché, in sostanza, deve ricominciare da capo per riacquistare la fiducia. Vale la pena riportare questo passaggio della lettera dell’ergastolano 67enne Mario Serpa ( questo è il suo nome) inviata all’ex ergastolano ostativo Carmelo Musumeci. «Da quello che si desume dal ragionamento che ha fatto il Tribunale di Sorveglianza di Bologna nel concedermi o meno il beneficio che ho chiesto – scrive Mario Serpa -, mi sembra di capire che io dovrei ricominciare da zero ( come un detenuto che chiede per la prima volta questo beneficio) non tenendo conto né dell’errore che ha commesso la Procura, né del mio trascorso ( prelevato e rinchiuso nella semilibertà senza aver commesso mai una sola infrazione). In altre parole, dovrei passare di nuovo nel crudele gioco delle “forche caudine”: ti sembra giusto?».

Ovviamente i suoi legali hanno fatto ricorso in Cassazione, ma ancora non è stata fissata l’udienza. Per un errore giudiziario, Mario Serpa si vede azzerato tutto il suo percorso. Eppure, durante l’arco temporale intercorrente dal 2006 al 2012 non si era registrata a carico di Serpa alcuna infrazione e il comportamento tenuto dallo stesso è stato più che retto. Non è stata colpa sua se, dopo 6 anni di semilibertà, è stato raggiunto da un ingiusto provvedimento di custodia cautelare, sfociato poi in una piena assoluzione. Mario Serpa fin dal 2012 è recluso in alta sorveglianza del carcere di Parma, senza che ce ne sia motivo. Vale la pena riportare l’ultima relazione di sintesi redatta proprio dal carcere parmense: «Comportamento assolutamente corretto, assenza di sanzioni, manifesta cortesia, disponibilità e interesse, relazioni rispettose, frequenza del laboratorio del riuso e svolgimento di attività a turnazione nella distribuzione dei pasti. I rapporti sono assidui con i tre figli, due dei quali affetti da handicap, La moglie del detenuto è morta di cancro nel 2001. Sulle vicende criminali, si evidenzia che, prima di esse, Serpa ha sempre lavorato, ma l’uccisione del padre per una vendetta trasversale nel 1979 ha segnato il punto di non ritorno e di inizio della caccia agli assassini del padre, poi sistematicamente uccisi». Dalla relazione di sintesi si evince anche il motivo per il quale nel ’ 79, all’età di 26 anni, finì nel vortice della violenza e dell’odio diventando così un boss della ‘ ndrangheta. Ma oggi è diverso. Nella lettera si rivolge a Carmelo Musumeci sottolineando che dai suoi buoni insegnamenti ne ha fatto tesoro e «seppur ancora oggi mi ritrovo a dover soffrire ( per colpe non mie) non mi lascerò mai più guidare né dall’odio né dalla prepotenza, come quand’ero giovane».

Come detto, Mario Serpa si trova al carcere di Parma per un reato dal quale è stato assolto. «Io ora voglio sapere – scrive a Musumeci - con che capo d’imputazione e articolo mi tengono qui dentro, in una Sezione di Alta Sicurezza, dopo che sono stato assolto da ogni accusa. Accuse che sono state utilizzate pure per chiudermi dalla semilibertà. È mai possibile che una sentenza di assoluzione non riesca ad annullare una ingiusta decisione sentenziata senza prima sapere se il malcapitato fosse o no colpevole?».