Soldi in cambio di scarcerazioni: è questa la pesante accusa mossa dalla Dda di Catanzaro nei confronti dell’avvocato Armando Veneto, socio fondatore dell’Unione camere penali, ex deputato ed ex parlamentare europeo dell'Udeur.

Il penalista, che ha ricoperto in passato anche la carica di sindaco di Palmi (Rc), è accusato di corruzione in atti giudiziari, aggravata dall’agevolazione alla ‘ndrangheta. Stessa accusa anche nei confronti degli altri sei indagati: Domenico Bellocco, alias “Micu u Longu”, Vincenzo Puntoriero, Gregorio Puntoriero, Vincenzo Albanese, Giuseppe Consiglio e Rosario Marcellino.

Ma Veneto si difende: «Di questa storia non so assolutamente nulla. Ho soltanto difeso davanti al Tribunale del Riesame di Reggio Calabria Rocco Gallo, che mi aveva nominato nell'agosto del 2009 revocando un altro legale. Questa vicenda – ha aggiunto – era già stata definita con l’accertamento da parte del Tribunale di Catanzaro della mia totale estraneità a qualsiasi ipotesi di corruzione. Solo ora capisco compiutamente cosa significhi trovarsi da innocente in un processo penale in Italia».

Secondo il sostituto procuratore Elio Romano, l’ex giudice Giancarlo Giusti (deceduto) avrebbe intascato 120mila euro per far scarcerare tre esponenti della ‘ndrangheta. Giusti - condannato per corruzione aggravata e morto suicida nel 2015 -, all’epoca dei fatti componente del collegio del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, quale giudice relatore ed estensore, nell’udienza del 27 agosto 2009 aveva disposto l’annullamento delle ordinanze cautelari emesse dal gip di Reggio Calabria a carico di Rocco e Domenico Bellocco e Rocco Gaetano Gallo, «posti ai vertici della cosca di 'ndrangheta Bellocco», si legge nelle 11 pagine dell’avviso di conclusione delle indagini, dai quali avrebbe ricevuto, in cambio, 40mila euro a testa, per un totale di 120mila euro.

Per la Dda, guidata da Nicola Gratteri, Veneto avrebbe svolto dunque un’attività di «intermediazione» rispetto ai tre «corruttori», assieme ai Puntoriero, secondo l’antimafia «per agevolare le attività della cosca di 'ndrangheta denominata clan Bellocco» e, in particolare, per consentire il ritorno in libertà di tre esponenti di spicco della stessa, «in un momento di particolare difficoltà generato dalla esecuzione di numerose ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di capi e gregari».

Ma non solo: Veneto è accusato anche di concorso esterno, assieme a Domenico Puntoriero, Gaetano e Giuseppe Gallo, per aver fornito «con consapevolezza di scopo, un valido contributo» finalizzato «alla realizzazione degli scopi rientranti nel programma criminoso dell’associazione mafiosa» e ciò in forza del rapporto di amicizia del penalista (e di Puntoriero) con il giudice Giusti, fornendo «un concreto apporto al rafforzamento, alla conservazione e alla prosecuzione dell’attuazione del programma associativo criminoso della cosca» non solo a Rosarno, ma anche in Emilia Romagna e Lombardia.