«Siamo preoccupati». Gli avvocati di Trani denunciano la lentezza della ripresa della piena attività delle aule di Giustizia, provando ad andare oltre e a formulare proposte utili al Governo per mettere la parola fine al blocco delle attività. Nel lungo documento del Coa, che parte con una citazione dell'Enrico VI di Shakespeare - “Let’s kill all the lawyers!”. “Uccidiamo tutti gli Avvocati!” - viene evidenziata una consapevolezza: quando si vuole sopprimere lo Stato di diritto e la Giustizia, la prima cosa da fare è eliminare chi chiede nei Tribunali che la legge sia rispettata: gli avvocati. «L’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus potrebbe sterminare gli Avvocati sul serio, meglio di quanto avrebbe voluto fare “Dick the Butcher” nell’opera di Shakespeare, visto che, nel sostanziale disinteresse della Politica, l’attività giurisdizionale è ancora sostanzialmente bloccata, nonostante tutti gli sforzi degli operatori della Giustizia», afferma il Coa. Il Coronavirus ha infatti colpito duramente un settore già in grave crisi, abbandonato, nel più totale «disinteresse della politica». Un disinteresse che, più in generale, riguarda tutte le libere professioni, con «un danno irreparabile al Paese», bloccando la Giustizia, «lasciando senza tutele assistenziali i liberi professionisti, ed imponendo loro misure oppressive e impossibili da attuare per l’adeguamento sanitario degli Studi professionali nel post coronavirus». Bisogna, dunque, portare nuovamente al centro del dibattito politico «il settore delle libere professioni, di cui l’avvocatura costituisce una delle colonne portanti non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista culturale e sociale». La crisi del comparto Giustizia costa, infatti, al Paese «un punto percentuale di Pil ogni anno, oltre a tutti i costi accessori e non quantificabili come delusione e sfiducia di cittadini e imprese, che vedono allontanarsi ogni giorno di più la tanto sospirata decisione sulle controversie che li riguardano». Argomenti che rendono ancora più incomprensibile l'amnesia della politica nei confronti della Giustizia ogni qual volta occorra allocare risorse economiche o di personale. «Il collasso del sistema giudiziario, oltre a creare un serio problema di accesso alla Giustizia per i cittadini, si è abbattuto su uno dei settori economici più colpiti dalla crisi del 2007», sottolineano gli avvocati di Trani.   [embed]https://www.facebook.com/iuslawwebradio/videos/256159805832569/[/embed]   Le proposte Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trani, affrontando il periodo emergenziale, «oltre ad approntare misure concrete in favore dei colleghi in difficoltà, ha collaborato immediatamente alla stesura di protocolli di udienza, ricevendo la promessa che tutte le udienze compatibili con le regole del contenimento del contagio si sarebbero svolte e, in caso diverso, i rinvii sarebbero stati temporalmente contenuti». Avendo chiari i motivi del disagio, il Consiglio «si fa portavoce della categoria professionale dell’avvocatura, che non ha mai chiesto nulla allo Stato, e che ora, paradossalmente, deve quasi chiedere permesso per entrare in casa sua: nel Palazzo di Giustizia. La richiesta non ha un significato meramente sindacale, ma più profondo. L’avvocatura di Trani rivendica con orgoglio l’importanza del proprio ruolo come compartecipe della giurisdizione per il rilancio, anche culturale e sociale, del Paese. Per questo motivo il Consiglio chiede che il calo della curva del contagio sia accompagnato dall’allargamento della platea dei processi da trattare e da una maggiore disponibilità di risorse da parte dello Stato per fronteggiare l’emergenza sanitaria, insieme ad un intervento legislativo, urgente e sistematico, che consenta la riduzione del numero di cause civili pendenti attraverso il ricorso anche ai più opportuni procedimenti di Adr, oltre al temporaneo sostegno economico all’avvocatura, gravata da troppo tempo solo da costosi obblighi professionali (sicurezza degli studi, privacy, trattamento dati, compensi fermi al 2014, etc.), non mediante soluzioni assistenziali, ma attraverso un riconoscimento economico remunerativo del lavoro svolto secondo le adottate nuove soluzioni legislative».