Dopo le dimissioni nella Anm, tutti dibattono sulla politicizzazione dei magistrati. Non sono un giurista, ma posso assicurare che non è un problema di oggi. Nel 1964, Nenni scriveva: «L’indipendenza della magistratura va assumendo forme che fanno di quest’ultima il solo vero potere, un potere insindacabile, incontrollabile e, a volte, irresponsabile. C’è da battere le mani se finalmente qualcuno affronta la mafia del malcostume. Ma c’è anche da chiedersi chi controlla i controllori». L’anatema di Nenni contro i giudici politicizzati: «Chi controllerà i controllori?»

Dopo le dimissioni nella Anm, tutti dibattono sulla politicizzazione dei magistrati. Non sono un giurista, ma posso assicurare che non è un problema di oggi. Ricordo come la pensavano personaggi che erano per me dei miti o dei maestri.

Nel 1964, Pietro Nenni scriveva: «L’indipendenza della magistratura va assumendo forme che fanno di quest’ultima il solo vero potere, un potere insindacabile, incontrollabile e, a volte, irresponsabile. C’è da battere le mani se finalmente qualcuno affronta la mafia del malcostume. Ma c’è anche da chiedersi chi controlla i controllori». E nel 1974 aggiungeva: «L’abbiamo voluta indipendente e ha finito per abusare del potere che esercita. Per di più, è divisa in gruppi e gruppetti peggio dei partiti». Come si vede, mezzo secolo fa, aveva già visto e capito tutto.

Poi arrivarono gli eccessi di quella che si chiamava la “interpretazione evolutiva del diritto”. Eccessi che piacevano a molti comunisti del tempo ma che, come spiegava il mio amico ( e giurista) Federico Mancini, conducevano alla politicizzazione della giustizia e alle teorie di Carl Schmitt ( un grande studioso, sì, ma anche un ispiratore del nazismo). La legge - si affermava - doveva essere applicata interpretandola alla luce dell’evoluzione sociale ( e conseguente sensibilità politica) del momento.

Anzi, la interpretazione poteva anche essere forzata per una causa nobile come quella di fare esplodere le contraddizioni e le ingiustizie esistenti. Perché la politica viene da sempre prima del diritto e il diritto è al servizio della politica vincente. I “pretori d’assalto” non erano distanti da queste idee e fu ad esempio così che lo Statuto dei lavoratori, una riforma sacrosanta per dare dignità ai dipendenti delle aziende ( giustamente celebrata in questi giorni) acquistò cattiva fama. Forzando le norme dello Statuto, si giunse a imporre la riassunzione di un garzone che era stato licenziato dal proprietario perché andava a letto con sua moglie.

Poi cominciarono le porte girevoli ( uniche al mondo) per magistrati che passavano dalle aule del tribunale al Parlamento o alla poltrona di sindaco. Un fenomeno dapprima contestato e limitato, poi sempre più endemico e considerato “normale”. Infine, nel 1992- 94, l’inquinamento dello Stato di diritto si allargò alla stampa, perché gli stessi grandi quotidiani e i loro direttori cominciarono a lavorare in equipe con i magistrati di Mani Pulite, perseguendo lo stesso obiettivo di cambiamento politico istituzionale.

Le notizie sulle indagini divennero da quel momento non l’oggetto del segreto istruttorio imposto dalla legge, ma lo strumento per colpire i comuni avversari. Comuni ai giornalisti e ai magistrati politicizzati sotto lo stesso segno. O, di questi tempi, peggio: appartenenti alle stesse lobbies. Per la verità, la violazione del segreto istruttorio ( e la confidenza tra giornalisti e magistrati) erano cominciate già prima ( in misura ridotta, nel segno dell’antifascismo e forse a fin di bene): con le indagini sulle cosiddette “piste nere” dell’eversione.

Il povero Federico Mancini citava un famoso giurista della Corte Suprema americana il quale diceva: «I giudici non difendono cause, i giudici giudicano cause». Ma era sempre più inascoltato. Nenni era il mio mito e Federico Mancini un maestro. Andreotti era un avversario politico e un interlocutore intelligente. Ma anche lui, con il suo sarcasmo semplificatorio, coglieva pezzi di verità. Una volta, ancora durante la prima Repubblica, l’ho sentito spiegare: «Nella Assemblea Costituente, metà degli eletti temeva ancora di essere arrestata dai fascisti e metà dai comunisti. Così decidemmo di garantirci rendendo i magistrati più indipendenti dalla politica che in qualunque altro Paese al mondo».

Purtroppo, concludeva, non lo potevamo immaginare, ma i magistrati vogliono diventare essi stessi politici e finiranno per arrestarci loro. Amava il paradosso, certo. Ma da allora il degrado economico e politico si è accompagnato a quello dello Stato di diritto, creando un circolo vizioso in accelerazione continua. Più il Paese declinava ( siamo andati indietro del 30 per cento nel Prodotto nazionale lordo rispetto ai vicini, come ad esempio la Francia), più la politica e il Parlamento perdevano credibilità ( e si “restringevano”), più la magistratura “si allargava”, assumendo un ruolo di sostituzione.

Anche perché parte della politica e del Parlamento, al proprio ruolo, ha rinunciato sempre più volentieri. Dapprima chiedendo legittimazione ai Di Pietro e simili, poi, con M5S, addirittura teorizzando il primato delle Procure. Che il circolo vizioso prima descritto possa essere fermato, lo si può dubitare. E si può temere che ormai si sia a un punto di non ritorno.

Di più. Tale è la crisi della politica che qualcuno potrebbe ormai addirittura ragionevolmente sperare in un ruolo sostitutivo dei magistrati.

Se avessero la statura morale, l’autorevolezza e anche la unità necessarie. Il che, da quello che si vede ( e soprattutto si sente), proprio non sembra.