L’avvocatura stritolata dalla morsa dell’emergenza. Con un blocco totale, da un lato, dell’intera attività, ingolfata da centinaia di protocolli che rendono impossibile anche solo una modalità parziale di ripresa, e dall’altro con la beffa dello stop al bonus da 600 euro, complice un corto circuito interno al dl Rilancio che, di fatto, impedisce l’erogazione del contributo per i prossimi mesi. E così gli avvocati, assieme agli altri professionisti, annunciano battaglia. Sfruttando tutte le occasioni, in particolare i tavoli aperti al ministero della Giustizia, dove è stata denunciata la babele di provvedimenti che hanno reso quella della Giustizia un'emergenza nell’emergenza. I tavoli a via Arenula «La seconda fase non è mai partita, i tribunali non sono accessibili ma non c’è nulla che lo giustifichi, anche alla luce dei dati sanitari», commenta il presidente del Consiglio nazionale forense Maria Masi, dopo una settimana di incontri al ministero per fare il punto sulle misure organizzative della Fase 2. Ferma, immobile, come tutta la Giustizia. La ripresa è lenta, ha chiarito Masi, e complicata dalla diversità dei protocolli dei vari uffici giudiziari, mentre le udienze da remoto appaiono ormai come un falso problema, semplicemente perché i numeri sono marginali. «Non si giustificano i moltissimi rinvii, anche per la natura dei giudizi, dal momento che i decreti di emergenza non davano queste indicazioni», ha evidenziato, ricordando la necessità di bilanciare gli interessi. Al ministero, dove in settimana sono state convocate diverse riunioni con Cnf, Organismo congressuale forense, Anm, le Unioni delle Camere penali e Civili e i CoA distrettuali, sono giunti i dossier provenienti dai territori. E se, da un lato, alcuni uffici sono stati in grado di gestire l’organizzazione della macchina giudiziaria - come Catanzaro e Bologna -, dall’altro le attività sono rimaste, di fatto, bloccate. Pochissime le udienze, modesto il numero delle cause poste in trattazione, orari di cancelleria dimezzati e accessi consentiti col contagocce, con prenotazioni via mail non sempre efficaci. Una situazione di confusione determinata, in particolare, dalla carenza di personale amministrativo, a causa della quale non pochi sono stati i telefoni che hanno squillato a vuoto e le mail rimaste non lette. Situazioni che, di fatto, hanno lasciato la giustizia al palo. «È necessario un intervento di correzione, anche normativa, che restringa l’ambito di discrezionalità nei singoli Uffici giudiziari, consenta l’aumento delle giornate e dei tempi di udienza, la turnazione del personale, le risorse per la garanzia dei presidi sanitari», ha evidenziato l’Ucpi, che ieri si è unita alla Camera penale di Roma nella protesta a Piazzale Clodio, dove i penalisti hanno riconsegnato simbolicamente le proprie toghe al Presidente dell’Ordine. Richiesta ribadita anche dall’Ocf, che ha manifestato netta contrarietà alla scelta di rimettere all’autonomia dei singoli capi degli uffici la facoltà di predisporre le linee guida che, «nate per risolvere questioni meramente organizzative, di fatto stanno incidendo sulle dinamiche e sulle regole del processo, con una inaccettabile riduzione delle garanzie di difesa per le parti». E perfino secondo il capo dipartimento Barbara Fabbrini, il malfunzionamento della Giustizia è dipeso molto dalle direttive organizzative dei singoli vertici degli uffici, sulle quali il dipartimento non avrebbe avuto potere. Ma non sarebbe possibile, ha aggiunto, concentrare in un’unica linea guida l’organizzazione di tutti i tribunali, che presentano esigenze molto diverse tra loro. Toccherà aspettare i dati epidemiologici per capire che tipo di misure di contenimento potranno essere adottate per far ripartire la giustizia. E ciò vuol dire mantenere valide, fino al 31 luglio, la moltitudine di provvedimenti emanati dai singoli capi ufficio. Ma intanto alcune promesse dal dipartimento sono arrivate, come quella di aumentare gli accessi alle cancellerie, la dotazione dei presidi di protezione individuale, un’implementazione del personale amministrativo e l’individuazione di altre misure organizzative per una “Fase 3” della Giustizia. Al tavolo con il dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, i CoA hanno evidenziato criticità e avanzato proposte. Tra le difficoltà quelle legate allo smart working, reso quasi impossibile dalla riduzione del personale, che ha dunque limitato le possibilità di accesso alle cancellerie e la lavorazione dei provvedimenti presi dai magistrati, di cui «non in generale non si è avuta traccia», ha sottolineato il presidente del CoA di Catanzaro Antonello Talerico. E uno dei limiti dello smart working è l’impossibilità di collegarsi, da casa, alle piattaforme della Giustizia, soprattutto per ragioni di sicurezza. La doppia beffa del dl Rilancio Ma a fronte di entrate ridotte all’osso dal blocco delle attività, drammatico appare anche il fronte degli aiuti da parte dello Stato. Il dato era già noto: i professionisti iscritti agli istituti di previdenza privata sono stati esclusi dall’accesso al contributo a fondo perduto. Ma la beffa del dl Rilancio - sul quale l’ufficio studi del Cnf ha prodotto un accurato approfondimento tecnico che evidenzia tutte le criticità della norma - riguarda anche il contributo di solidarietà. Che non solo risulta più basso rispetto alle altre categorie produttive (600 contro mille euro), ma addirittura stralciato, di fatto, da un articolo del decreto legge in contrasto con quello che ne garantisce la continuità. La denuncia arriva dal presidente dell’Associazione degli enti previdenziali privati, Alberto Oliveti, che ha denunciato la forte discriminazione dei liberi professionisti. «Da un lato il Governo ha rifinanziato gli indennizzi statali per i mesi di aprile e di maggio – afferma Oliveti – dall’altro un codicillo ha stabilito che chi ha preso i 600 euro a marzo, non potrà ottenerli nei mesi a venire. Confidiamo che si tratti di un errore materiale e a tal proposito abbiamo chiesto chiarimenti ai ministeri e un’eventuale correzione». I due articoli incriminati sono il 78 e l’86: mentre il primo rifinanzia la misura di marzo anche per aprile e maggio, l’altro rende l’indennizzo già erogato incompatibile con quello dei mesi successivi. Un errore materiale, avrebbero garantito i ministri dell’Economia e del Lavoro, Roberto Gualtieri e Nunzia Catalfo, ad Oliveti, ma che al momento, di fatto, crea un impedimento a procedere con i pagamenti. La prima ipotesi per correggerlo è quella di intervenire con una modifica in fase di conversione, ma ciò richiederebbe tempi lunghi, rischiando di far scivolare la questione anche a dopo metà giugno. L’ulteriore ipotesi è, dunque, quella di intervenire con un altro decreto legge. Ma anche alla luce di questa rassicurazione, la consapevolezza, almeno mentre si scrive, è che con queste norme sul tavolo il bonus di aprile non potrà essere erogato.Ma lo «scivolone sui 600 euro non è l’unico motivo di critica», precisa Oliveti. Molto grave, per i liberi professionisti, è anche la mancata defiscalizzazione dei benefici che le casse professionali hanno garantito agli iscritti, con un ulteriore trattamento discriminatorio rispetto alle imprese. «In nessun decreto si è trovato ancora il modo di chiarire come debbano essere trattati gli aiuti degli enti di previdenza dei professionisti – evidenzia Oliveti –. Trattandosi di interventi assistenziali analoghi, vorremmo che l’esenzione fiscale applicata ai 600 euro statali venga riconosciuta ai sussidi autonomi e aggiuntivi delle Casse. Nelle more proporremo interpello all’Agenzia delle Entrate. Tutto questo mentre il decreto legge Rilancio ha persino escluso i professionisti iscritti alle Casse dai contributi a fondo perduto, anche questi esentasse, accordati ad imprese e altri autonomi con partita iva - conclude -. Siamo stanchi di ritrovarci sempre discriminato e per giunta tassati. È ora che il Governo corregga il tiro».