Anticipando il “decreto Semplificazioni”, l’art. 264 del Dl 34/ 2020 (“decreto Rilancio”) reca “misure urgenti” di “liberalizzazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi in relazione all’emergenza Covid- 19”. La novella ha però due anime.

IL 1° COMMA SEMPLIFICA

Il primo comma ( efficace fino alla fine del 2020), al di là delle problematiche fisiologiche per ogni disposizione, rispetta effettivamente l’obiettivo dichiarato. Utilizzando la tecnica, ormai collaudata, del trasferimento della responsabilità dall’amministrazione ai privati, si amplia l’ambito delle autodichiarazioni sostitutive di atti e documenti amministrativi in relazione alle istanze di benefici e agevolazioni legate all’emergenza Covid. Si riduce poi, in via eccezionale, con riferimento agli atti adottati ( o all’attività intrapresa) in relazione alla stessa emergenza, da diciotto a tre mesi del termine perentorio entro il quale, in forza degli articoli 19 e 21- nonies della legge 241/ 1990, l’amministrazione può intervenire d’ufficio per annullare ( rimuovere, con effetto ex tunc, per vizi originari), quando lo giustifichino ragioni attuali di interesse pubblico, gli atti ( anche impliciti) di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, o per rilevare, in sede di “controllo postumo”, vizi originari di validità/ idoneità della Scia. La novella ribadisce che tale limite, come già disposto dall’art. 21- nonies, trova un’unica eccezione nel caso in cui detti titoli siano frutto di “false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenze di condanna passate in giudicato”. In coerenza con lo spirito incentivante del decreto, lo stesso comma 1 dispone, tra l’altro, che, sempre fino al 31 dicembre 2020, il potere generale di revoca ( rimozione con effetto ex nunc degli atti ad efficacia durevole) per ragioni sopravvenute di interesse pubblico è limitato, per i benefici e le agevolazioni Covid- 19, alla sopravvenienza di ragioni “eccezionali”; e introduce importanti misure di liberalizzazione e semplificazione per gli interventi edilizi necessari ad assicurare l’ottemperanza alle misure di sicurezza prescritte per far fronte alla medesima emergenza pandemica.

IL 2° COMMA REPRIME

Accanto alle riferite misure “emergenziali”, l’art. 264 introduce peraltro, una serie di disposizioni “a regime”, dirette cioè a valere in via generale e senza limiti temporali. In particolare, il secondo comma, nella dichiarata finalità di accelerare la massima semplificazione dei procedimenti amministrativi e l’attuazione delle misure di “sostegno” a cittadini e imprese e di “rilancio” dell’economia, inserisce altre “misure urgenti”, asseritamente volte ad assicurare l’effettività delle “ disposizioni che non consentono alle amministrazioni di richiedere la produzione di documenti e informazioni in loro possesso”.

Dietro questo “buon proposito”, effettivamente perseguito nella lettera b del comma 2, si cela tuttavia l’introduzione, nella lettera a, di norme negativamente incidenti sulla stabilità dei “benefici” ottenuti mediante autocertificazioni e autodichiarazioni, oltre che di sanzioni interdettive.

Come ripetutamente rilevato ( da ultimo, “Controlli sull’attività edilizia, sanzioni e poteri di autotutela”, in federalismi. it, 18/ 2019), le misure di liberalizzazione e semplificazione basate sulla tecnica delle autodichiarazioni si traducono in un grave indebolimento dei titoli e dei benefici conseguiti. Accade infatti che, complice l’oggettiva difficoltà di ricostruzione e di interpretazione del quadro normativo e tecnico di riferimento, il privato che abbia reso in buona fede una dichiarazione/ certificazione su dati/ fatti oggettivamente opinabili e che l’amministrazione “legga” poi in modo diverso, venga tacciato di falsa rappresentazione dei fatti o di dichiarazione mendace. È così frequentemente accaduto che, in forza di una lettura riduttiva dell’articolo 21- nonies, comma 2- bis, e di una lettura strumentale delle disposizioni in tema di decadenza dai benefici ottenuti sulla base di dichiarazioni “non veritiere” ( in primis l’art. 75 dpr 445 del 2000), l’amministrazione abbia, anche a distanza di anni, senza alcun accertamento penale, negato la validità/ efficacia della Scia ( e talvolta addirittura la formazione del silenzio assenso) e/ o disposto l’integrale recupero di benefici economici, sull’unico presupposto che il beneficiario non avesse in tesi correttamente rappresentato elementi giuridici e fattuali più o meno rilevanti ( dal possesso di un titolo asseritamente invalido, ancorché mai contestato dalle amministrazioni competenti, all’ultimazione di un impianto cui mancava qualche minimo elemento montabile in meno di un’ora). E, nonostante i reiterati caveat espressi dai pareri resi dal Consiglio di Stato sui decreti attuativi della riforma Madia ( pareri Commissione speciale nn. 839 e 1784 del 2016 sui cosiddetti decreti Scia 1 e Scia 2) avverso queste forme di “annullamento travestito”,

la giurisprudenza ha spesso avallato tali provvedimenti, che sostanzialmente aggirano i limiti all’autotutela caducatoria ex tunc per vizi originari del titolo previsti dall’art. 21- nonies e ridotti a tre mesi dal comma 1 del Dl Rilancio.

IL GIRO DI VITE INVISIBILE

Orbene, dietro la pretesa finalità di introdurre “misure urgenti” per “assicurare piena attuazione ai principi che non consentono alle pubbliche amministrazioni di richiedere la produzione di documenti e informazioni già in loro possesso” (!), il comma 2, lett. a,

dell’art. 264, interviene sulla disciplina generale dei controlli amministrativi sulle autodichiarazioni dettata dal dpr 445 del 2000 e, nell’intensificare i controlli sulla relativa veridicità, aggrava sensibilmente gli effetti del loro eventuale esito negativo, aggiungendo alla tradizionale “decadenza” dal beneficio prevista dall’art. 75, l’espressa previsione, senza limiti temporali, della “revoca degli eventuali benefici già erogati nonché il divieto di accesso a contributi, finanziamenti e agevolazioni per un periodo di due anni decorrenti da quando l’amministrazione ha adottato l’atto di decadenza”, oltre all’inasprimento delle sanzioni penali.

In altri termini, invece di fare chiarezza sulla portata dell’eccezione ai limiti temporali dell’annullamento d’ufficio ( e del controllo postumo sulla Scia), coerentemente confermando la necessità della condanna penale anche per le false rappresentazioni dei fatti richiesta dal comma 2- bis dell’articolo 21- nonies, o quanto meno circoscrivendole a quelle incontrovertibilmente risultanti da pubblici registri o altri dati inopinabili, il cosiddetto decreto Rilancio cela, senza in alcun modo richiamarvi l’attenzione ( né nel titolo, né negli obiettivi), una nuova, importante, eccezione ai limiti temporali del suddetto potere di autotutela caducatoria per vizi originari, in direzione opposta a quella che, sin dal 2004 ( art. 1, comma 136, l. 311), ne aveva determinato l’introduzione. Ma non basta. La qualifica utilizzata ( revoca) apre la strada alla deroga all’obbligo di motivazione sull’interesse pubblico attuale, richiesta dall’art. 21- nonies l. 241, per l’autoannullamento.

E vi è ancora di più. Alla revoca si accompagna addirittura l’interdizione generale automatica da tutti i “contributi, finanziamenti e agevolazioni per un periodo di due anni”

dal provvedimento di accertamento della decadenza. Si tratta, dunque, dell’introduzione, in via generale e “a regime”, di un severo regime sanzionatorio “rigido” ( senza alcuna graduazione in riferimento alla gravità e/ o all’elemento soggettivo dell’illecito), in netto contrasto con il principio di proporzionalità delle misure punitive, pacificamente applicabile anche alle sanzioni amministrative ( inter alia, Corte costituzionale, sent. 112/ 19).

È certamente giusto prevenire e severamente reprimere l’imprenditore disonesto e chiunque fraudolentemente dichiari/ rappresenti il falso per accedere a vantaggi pubblici della più varia natura, ma non si deve dimenticare che le sanzioni sono soggette a regole ben precise e che, in ogni caso, le misure di semplificazione privano di fatto gli operatori delle garanzie del controllo preventivo dell’amministrazione. Si impone quindi particolare attenzione al confine tra dichiarazioni/ rappresentazioni effettivamente “mendaci” ed errori interpretativi di contesti giuridici e tecnici spesso scarsamente chiari, che per questo vengono tendenzialmente “scusati” alle amministrazioni e ai giudici. Ciò che appare comunque inaccettabile è il fatto che, soprattutto in un momento di massima confusione legislativa, tale inasprimento non sia stato segnalato, in modo chiaro ed espresso, in un apposito articolo e sotto un’apposita rubrica, come il rapporto di leale collaborazione tra le istituzioni e i cittadini avrebbe richiesto ( invece che essere “celato” tra le misure di liberalizzazione e semplificazione dell’emergenza Covid- 19, senza peraltro farne cenno neppure nella Relazione illustrativa). Perché ci meravigliamo se gli imprenditori non si fidano?

* Maria Alessandra Salndulli è ordinario di Diritto amministrativo Roma Tre