Dopo una faticosa navigazione del pesante cargo di quello che avrebbe dovuto essere il decreto Aprile ( e che poi è diventato il cosiddetto “decreto rilancio”), avviata appunto circa un mese fa fra i marosi di tante contrattazioni e negoziati fra le forze della maggioranza, sembrava che il decreto fosse giunto in porto. In questi giorni abbiamo appreso invece che, in pratica, è come se il Consiglio dei ministri avesse approvato il testo “salvo intese” visto che ci ha messo una settimana ad approdare al porto della Gazzetta Ufficiale.

Considerato che già normalmente un Decreto legge è un testo che si vara per “necessità e urgenza” e che tanto più è necessaria e urgente l’attesa dai cittadini e dagli operatori di questa normativa, fatta per larga parte di agevolazioni, sussidi, bonus, “tamponi” tesi ad andare incontro all’emergenza, si tratta di un ritardo che pesa sulle aspettative e sulle tasche in molti casi vuote dei cittadini e degli operatori.

Già c’è il problema della provvisoria incertezza del diritto e dei diritti come sempre generata dai decreti legge, perché cittadini ed operatori, prima di assumere iniziative e fare investimenti, spesso devono attendere la legge di conversione che può in parte modificare le norme originarie: speriamo almeno che il parlamento approvi in tempi abbastanza stretti la legge di conversione.

Ci sono poi degli ulteriori aspetti di incertezza del diritto e dei diritti che il decreto genera, non solo per la quantità impressionante di norme che citerò fra breve, ma anche per come spesso sono congegnate.

Sabino Cassese ha scritto sul Corriere della sera che “alcune norme sembrano scritte da un teologo medievale”. Si prevedono infatti programmi che contengono piani operativi che recano misure che dipendono però da piani operativi previsti da altre leggi; e inoltre è diffusa nel testo una selva di vari congegni destinati a marcire nelle pastoie burocratiche.

Ci può essere quindi il rischio che mentre si richiede, tanto più dopo che varie misure come quelle del decreto liquidità, come ad esempio la cassa integrazione in deroga ed altre, si sono incagliate nelle secche della burocrazia, che qualcosa di analogo possa avvenire anche per qualche misura di questo decreto.

Non dimentichiamo che si tratta di un omnibus fatto di ben 256 articoli per 495 pagine e 110000 parole complessive. Il Care’s Act americano, molto più snello, che mobilita ben più risorse e con effetti molto più celeri ed efficaci, contiene un terzo delle parole del decreto rilancio e mentre il decreto rilancio contiene 600 misure, il Care’s act contiene solo 100 misure. L’eccesso di quantità normativa incide anche sulla qualità e sull’applicabilità della normazione. E non va dimenticato che la questione della burocrazia discende dalla questione normativa, perché la burocrazia è chiamata ad attuare ed applicare le leggi. Senza una vera semplificazione normativa, senza norme scritte in modo chiaro, snello e comprensibile, è molto più difficile fare quella semplificazione che tutti giustificatamente richiedono.

Questo dovrebbero averlo ben chiaro per primi i rappresentanti del governo e lo stesso Presidente del consiglio, che ha annunciato come prossima tappa un intervento di semplificazione burocratica: perché semplificazione normativa e semplificazione burocratica sono due processi che devono viaggiare insieme. Forse vanno modificate anche certe inveterate abitudini degli uffici legislativi del governo che dovrebbero cominciare a scrivere le norme in modi più lineari e comprensibili, non solo per la burocrazia che le deve attuare, ma anche per i cittadini e gli operatori che ne devono beneficiare.

Già Tacito ai tempi dell’antica Roma scriveva “corruptissima republica plurimae leges”. La traduzione non letterale è “più sono le leggi in una repubblica, più la repubblica è corrotta” nel senso largo del termine.

Emanare meno leggi, fatte di meno norme, più snelle, lineari ed efficaci, sarebbe sì una grande riforma, di grande beneficio per tutti, ancor più nelle fasi di emergenza e favorirebbe un maggior equilibrio nel rapporto tra i cittadini e le istituzioni.