Si definisce eterogenesi dei fini il processo per il quale, pur agendo con intenzioni diverse, tutti finiscono per concorrere alla realizzazione del progetto d\ giori intellettuali di un paese è un evento di per sé gratificante. Non succedeva dalle luminose giornate del tardo medioevo, quando una cristianità unita si godeva il lungo periodo di tranquillità sociale e sviluppo morale che la grande peste interruppe bruscamente. Di esso abbiamo testimonianza negli splendidi e gioiosi affreschi di Giotto.

Tornando all’oggi, Galli della Loggia, nella sue nuove vesti di teologo schierato tra i cattolici orientati in “senso genericamente conservatore” propone una Chiesa politica, ossia attenta non tanto a predicare il Vangelo ma a «mediare tra il Vangelo e il mondo», contrapponendosi a quanti, con il furore ideologico del quale viene accusato papa Francesco, non si curano della forza politica accumulata dalla Chiesa e del suo accrescimento, preferendo un’interpretazione diretta e letterale delle parole di Gesù, quella seguita da San Paolo, da tutti gli apostoli e in tempi più recenti da san Francesco e da papa Giovanni Paolo II, del quale proprio in questi giorni ricorre il centenario dalla nascita; per intendersi quella che riconosce agli ultimi un primato. Come dire che quando pronunciava il discorso della montagna Gesù pensava di essere preso sul serio, non di fare propaganda in vista della conquista della corona di re di Giudea. “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati...” ( Lc 6,20).

Anche a Pilato, almeno secondo il Vangelo di Giovanni, il Cristo lo dice con chiarezza “Il mio regno non è di questo mondo” ( Gv 18,36). La tradizione di pensiero che vuole fare di Gesù un capo politico risale secondo alcuni a Giuda stesso, il cui tradimento altro non sarebbe che un goffo tentativo di fare pressione sul Cristo per indurlo a spendere sul piano del potere terreno quanto la sua predicazione gli ha permesso di guadagnare su quello morale. Non sono solo i laici devoti a pensare di ottenere dalla Chiesa una supplenza per la loro incapacità di indirizzare la politica nella senso da loro preferito, peraltro a volte confusa e aperta ad esperimenti di ogni genere. Anche credenti convinti a fedeli assidui alla frequentazione dei sacramenti vorrebbero una Chiesa che invece di indicare una via al gregge lo segua, magari fino al punto di assecondare quanti non accettano di riconoscere come fratelli i migranti, persino quelli che già vivono da anni nel nostro paese, contribuendo al benessere diffuso con il loro lavoro sottopagato. Non basta agitare la corona di un rosario per essere partecipi del messaggio di Cristo, occorre anche una qualche lettura delle scritture, a cominciare dal Vangelo..

In chiusura di replica, Galli della Loggia ricorda che Vattimo parla di diminuzione del proprio imbarazzo nel dirsi cristiano grazie alle prese di posizione di papa Francesco. È un modo molto delicato per esprimere la situazione drammatica nella quale si trovano i credenti che vivono nella parte fortunata del mondo, quella dove ci sono cibo, assistenza, scuole, medicine, ospedali, libertà di pensiero, occasioni di svago, opportunità di proporsi socialmente nel modo che si preferisce, mentre altri uomini e donne, altrettanto figli di Dio, non hanno niente di questo. In una delle ultime omelie da Santa Marta trasmesse alla televisione, papa Francesco ha ricordato che quest’anno nel mondo sono già morte di fame tre milioni e settecentomila persone. Di fronte a questa realtà non è sufficiente dire, come fa Galli, che il Vangelo «nel corso della storia della Chiesa non ha mai cessato di rappresentare il formidabile principio di contraddizione impossibile da cancellare e mai cancellato». Non basta proprio.