«L’avvocatura vigilerà». Quella della presidente del Consiglio nazionale forense Maria Masi è una promessa, alla luce di uno stato d’emergenza che ha messo in crisi la tenuta del sistema. Una promessa fatta al termine del dibattito “Stato d’emergenza e diritti contagiati”, al quale hanno partecipato Guido Alpa, emerito di diritto civile a La Sapienza e presidente Emerito del Cnf, Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere penali italiane, Filippo Donati, ordinario di diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Firenze e componente del Csm, Anton Giulio Lana, presidente dell'Unione forense per la tutela dei diritti umani, Daniela Piana, ordinaria di Scienza politica presso l’Università di Bologna Alma Mater Studiorum e componente dell’Ufficio studi del Consiglio di Stato, e Fausto Pocar, emerito di diritto internazionale presso l’Università Statale di Milano e presidente della Società italiana di diritto internazionale e dell'Unione europea. Il dibattito, moderato da Francesco Caia, componente del Cnf e coordinatore della Commissione diritti umani, si è incentrato sull’equilibrio tra i diritti in gioco, facendo emergere, da un lato, la legittimità costituzionale degli strumenti usati dal governo per gestire l’emergenza e, dall’altro, la fragilità del Parlamento, assieme al rischio che lo strumento emergenziale possa mettere in discussione, in futuro, diritti dati per acquisiti e certi. Come quello alla difesa, declassato dalle scelte governative a diritto di serie B, secondo Caiazza, e spinto «ideologicamente» verso una burocratizzazione che ignora l’assoluta sacralità dello stesso. «L’avvocatura ha avuto modo di interrogarsi più volte soprattutto su uno dei diritti che di fatto appaiono “contagiati” dallo stato d’emergenza sanitaria, ovvero il diritto alla difesa, nella sua accezione ampia, ovvero nel diritto al giusto processo», ha sottolineato Masi, soprattutto con riferimento al processo da remoto, di fronte ad un rallentamento dell’attività giudiziaria «non giustificabile, in quanto funzione essenziale». Ma non è solo il diritto alla difesa a vedersi “alterato” nel bilanciamento degli interessi: c’è il diritto alla libertà personale, la libertà di circolazione, il diritto allo studio e molti altri. Ed è necessario, secondo Masi, che qualsiasi provvedimento futuro «sia informato ai principi di adeguatezza e proporzionalità, anche per non incidere sul perimetro dell’interpretazione del diritto e della certezza del diritto». L’avvocatura, come ha sottolineato Caia, si è già schierata, con una delibera del Cnf che esorta il governo a tutelare soprattutto le fasce più deboli. Ma è necessario rimanere vigili, tenere alta l’attenzione. E a farlo non può che essere l’avvocatura, «anche per la sua funzione sociale», ha sottolineato Caia. Il processo da remoto L’impatto della pandemia sul mondo della giustizia ha sollevato problematiche inedite e particolari. La prima ricaduta, ovvia, è stata la sospensione dei processi. Ovvia, nel periodo più nero dell’epidemia, ma quasi incurante rispetto alle sue conseguenze sulla libertà personale degli imputati. «Il rinvio dei processi è stato accompagnato da una previsione normativa che ha sospeso il decorso dei termini di custodia cautelare - ha sottolineato Caiazza - E già su questo profilo abbiamo da esprimere molti dubbi sul fatto che una simile misura possa trovare giustificazione nei principi di proporzionalità e necessità. Perché si differisce un processo non si comprende però perché si debba prolungare il termine normativo, già penalizzante, della limitazione della libertà per chi attende il giudizio, laddove in nessun modo quel differimento è imputabile nemmeno indirettamente ad un contributo causale dell’imputato». Ma «l’attentato» più importante, per Caiazza è la smaterializzazione del processo penale, «una compromissione inconcepibile del diritto di difesa», laddove il processo penale, nella sua ratio fondativa, «presuppone la fisicità». Chiunque esercita la professione di avvocato, ha affermato Caiazza, «sa che non avere nessuna possibilità di controllo fisico, emotivo di quello che accade nell’aula, il controllo sull’attenzione del giudice allo svolgimento del processo equivale ad amputare il diritto di difesa. E non c’è una giustificazione possibile, perché il diritto di difesa non è negoziabile». E anche con l’esclusione dell’istruttoria e della discussione dalla modalità online - «grazie anche all’iniziativa dell’avvocatura penalistica e istituzionale» - rimane la possibilità di passare alla modalità da remoto con il consenso dell'avvocato. Una postilla che rappresenta una sintomo, la convinzione che sia l’avvocato a disporre del diritto di difesa del proprio assistito. «Ma è indisponibile - ha aggiunto Caiazza -, non è nelle nostre facoltà poter pregiudicare la qualità e la pienezza del diritto di difesa del nostro assistito secondo una nostra valutazione di opportunità». Ed è per questo che il leader dei penalisti ha parlato di un tentativo «ideologico» di compiere un passo verso la «burocratizzazione del processo, figlio di un’idea autoritaria del processo penale che vede il diritto di difesa come una componente che deve essere esercitata entro limiti che non intralcino, oltre la ritenuta ragionevolezza, il percorso della giustizia». Un’idea che fa il paio con il riconoscimento solo parziale del diritto dei detenuti di potersi curare. «Si è deciso di scommettere sul fatto che il carcere potesse garantire una difesa. Ma è solo grazie alle iniziative dei magistrati di sorveglianza che si è intervenuti su un’importante riduzione del numero di detenuti, di quasi 7mila unità, con nessuna incidenza dei provvedimenti normativi urgenti adottati e questo forse ha consentito di vincere quella scommessa». Ma l’idea radicata nell'opinione pubblica è «che il diritto alla salute del detenuto sia affievolito rispetto a quello di qualunque altro cittadino». La tenuta del sistema Il sistema ha però tenuto, secondo Focar. E per quanto i provvedimenti presi per arginare il contagio abbiano inciso sull’esercizio dei diritti fondamentali del cittadino, il ricorso ai dpcm ha rispettato i dettami della legislazione internazionale, che prevede la possibilità di apportare deroghe o restrizioni ai diritti, purché siano fondate su motivi previsti dalle convenzioni internazionali (e il diritto alla salute e alla vita lo sono), non abbiano carattere discriminatorio - e il rischio si è corso con l’ipotesi di misure diverse per i più anziani - e che siano limitate nel tempo. «Purtroppo in alcuni Paesi l’emergenza è stata presa a pretesto per per istituire modifiche illiberali nella struttura dello Stato». E ciò a causa delle spinte sovraniste e nazionaliste. Ciò che è emerso è, però, anche una certa fragilità delle strutture sovranazionali, come l’Unione europea. «Gli Stati hanno agito in ordine sparso - ha aggiunto Focar - e credo che almeno nell’Ue bisognerebbe adottare un’azione per avere, in futuro, un coordinamento». Ma non solo: c’è stata anche una marginalizzazione del Parlamento, come evidenziato da Donati, dovuta in primis all’impossibilità di riunirsi. E sebbene la nostra Costituzione non preveda una clausola di “pieni poteri” al governo in stato di emergenza, nella parte in cui attribuisce allo Stato il dovere di tutelare i diritti della persona, «presuppone la possibilità che a fronte di situazione di emergenza si possa agire anche con interventi extra ordinem». Il quadro sostanziale delle fonti, dunque, «stato rispettato, inoltre, in una situazione di grave crisi sanitaria la fonte primaria naturalmente più adatta a fronteggiare questa emergenza, il decreto legge, ha previsto l’adozione di dpcm dettando criteri al riguardo». Il dpcm è uno strumento estremamente flessibile che può cambiare in base all’andamento dell’epidemia, «diversamente da un atto di normazione primaria». Inoltre, il decreto del presidente del Consiglio è direttamente impugnabile di fronte al giudice amministrativo, garantendo maggiore tutela giurisdizionale ai cittadini. Gli anticorpi del sistema Il sistema di bilanciamento dei diritti è però necessario affinché il “contagio” sia permanente, ha sottolineato Piana. E la vera questione è su quanto permanente possa dunque essere l’effetto delle norme e la modalità con cui sono state emanate. «Ho una visione positiva nella misura in cui guardo a cosa la democrazia italiana ha fatto in passato - ha spiegato -, ma ciò non ci mette a riparo dai rischi futuri, perché tutto ciò che sta nella strutturazione degli anticorpi può essere, sotto condizioni particolari, sovvertito». E l’esempio è dato dai pieni poteri conferiti ad Orban. Serve, dunque, un investimento culturale sulla società: far capire quanto costi cedere pezzi di libertà. «Non corriamo lo stesso rischio dell’Ungheria - ha aggiunto - ma quel caso dimostra come l’anticorpo della Corte costituzionale non sia riuscito a funzionare». Un anticorpo può essere rappresentato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, soprattutto per evitare discriminazioni, ha evidenziato Lana. Che nel caso specifico hanno riguardato i soggetti più deboli, come i migranti, i senza fissa dimora, gli studenti e i lavoratori dipendenti. «Alcuni diritti possono essere limitati a determinate condizioni e queste devono prevedere coperture da parte delle leggi interne, la necessità, la proporzionalità rispetto al fine perseguito, la limitatezza del provvedimento nel tempo e la possibilità di un ricorso ad un giudice. Mi chiedo se il dpcm abbia una copertura nella Convenzione dei diritti dell’uomo - ha sottolineato -. La Corte europea richiede che la legge sia accessibile e prevedibile. Nulla da dire sull’accessibilità, mentre sull’aspetto della prevedibilità qualche dubbio sorge: ci sono state fattispecie per le quali le persone non sono state in grado di comprendere quando la loro condotta sia stata conforme alle misure del governo oppure no». L’insegnamento Dalla pandemia, secondo Alpa, sono emerse tutte le contraddizioni e le fragilità del sistema in cui viviamo. «Dal punto di vista istituzionale ci si è chiesti quale avrebbe dovuto essere il ruolo del Parlamento rispetto al governo. E la pandemia ci ha insegnato che i regolamenti parlamentari devono essere cambiati, perché il Parlamento non si è riunito prontamente come ci si sarebbe aspettati, per cui sono passati diversi giorni prima che i provvedimenti del governo potessero essere esaminati e convertiti in legge», ha evidenziato. Ed è un fatto negativo, in quanto il Parlamento non è stato in grado di manifestare «alcuna capacità prospettica», né idee per affrontare l’emergenza. La fase che ci attende è molto complessa, perché tra i diritti che sono stati limitati c’è quello alla libera iniziativa economica. E gli effetti economici che la pandemia ha provocato si andranno a sommare a quelli di una crisi che dura dal 2008 e dalla quale, ha sostenuto Alpa, non siamo ancora usciti. «Questo vuol dire che verranno compressi altri diritti», con fenomeni che avranno una ricaduta sul tessuto sociale. A partire dal riemergere dei nazionalismi. Ed è questo uno degli interrogativi per il futuro.