Gettato in pasto al web, etichettato come mafioso, usato per propaganda politica. È così che si è sentito Angelo Alati, ex presidente del Consiglio comunale di SantEufemia dAspromonte (Rc), arrestato a febbraio dalla Dda e scarcerato lo scorso 9 aprile. Per Matteo Salvini è uno dei tanti boss scarcerati grazie alla «scusa» del Covid. Ma in realtà, Alati è stato rimesso in libertà dal Tribunale della Libertà per «evidenti ragioni di inconsistenza indiziaria». E così, dopo aver chiesto - inutilmente - la rettifica di quel post, al quale erano allegate anche le foto di presunti boss e mafiosi, Alati è passato ai fatti, depositando, ieri, una querela per diffamazione contro il leader della Lega. La scarcerazione è stata infatti decisa in base «ai presupposti dellordinanza di custodia cautelare e non certo a ragioni di tutela della salute e della dignità umana considerate, tuttavia, dal signor Salvini Matteo quale un escamotage per permettere a mafiosi e stragisti, con il concorso, evidentemente, di magistrati considerati troppo morbidi, di uscire dalle patrie galere». Alati rivendica il principio di presunzione di innocenza, attribuendo allex ministro «lelemento psicologico del dolo», in quanto «è chiaro il suo preciso obiettivo diffamatorio nellutilizzare la scarcerazione dello scrivente per evidenti fini politici, in totale disprezzo di tutti i diritti costituzionali, esponendo il querelante alla pubblica gogna e alla macchina dellodio dei social network, grazie alla forza della sua enorme visibilità mediatica», proprio nel momento in cui il TdL lo aveva riabilitato. Prima della querela, il legale di Alati, Guido Contestabile, ha scritto a Salvini, invitandolo a pubblicare un post funzionale alla riabilitazione del suo cliente. E il leader della Lega, anziché ristabilire la verità dei fatti «ha semplicemente eliminato il post», senza avvisare i suoi milioni di follower di come stessero realmente le cose. «Avanzo seri dubbi sul fatto che lei conosca Angelo Alati e la sua storia processuale - ha scritto Contestabile - un incensurato coinvolto in un processo di mafia scarcerato dal TdL per ragioni di inconsistenza indiziaria. Non colpevole non solo fino a prova contraria e fino alla definitività del giudizio, ma anche innocente - allo stato - in virtù di un provvedimento emesso dallorgano di garanzia deputato al controllo delle ordinanze cautelari». È disgustoso, afferma Contestabile, «che qualcuno si prenda il lusso di contrabbandare la sua immagine come quella di un colpevole che lha fatta franca. Più che il dolore delle catene, linnocente in carcere patisce il dolore della vergogna e il senso di abbandono». E in una terra stritolata dalla mafia, dalla povertà e anche dal pregiudizio, come la Calabria, la «spregiudicata criminalizzazione dellindividuo, con labbattimento delle sue garanzie, porta consenso anche allantistato, inocula negli individui sani il senso dellingiustizia e li allontana dalle istituzioni. E proprio nel momento in cui lAngelo Alati di turno riesce a venire fuori dalle maglie (sempre più) strette della custodia cautelare, di certo non si aspetta che listituzione che ella rapprenda e ancora di più ha rappresentato lo bolli come uno stragista mafioso scarcerato a casa dellonda lunga del coronavirus».si. mu.