Si è conclusa solo nella tarda serata di ieri la call conference tra il guardasigilli Bonafede e le “war room giustizia” della maggioranza. Si è discusso su ogni virgola delle misure “anti domiciliari”. Che non dovrebbero essere introdotte con un provvedimento autonomo ma confluirebbero nel decreto Rilancio, il maxi provvedimento di maggio con gli aiuti economici. È quanto meno l’intenzione dell’esecutivo, subordinata però al’effettivo timing del Consiglio dei ministri. Se il Dl sulla liquidità fosse deliberato entro domani, vi troverebbero posto anche le norme sulle scarcerazioni. Se viceversa la maggioranza non trovasse l’intesa definitiva sul maxi decreto, domani il governo si riunirebbe per varare il solo decreto di Bonafede.

Cosa prevederà il decreto “anti domiciliari”

Nelle nuove norme  sull’esecuzione penale ci sarà in ogni caso il vincolo a rivalutare le ordinanze di differimento pena in relazione all’emergenza coronavirus, che sarebbe esplicitamente richiamata nel testo, anche per giustificarne l’urgenza. Si proverà a non travalicare le competenze del giudice di sorveglianza: sarà previsto che debba riconsiderare l’ordinanza di scarcerazione tenuto conto dei mutamenti della condizione presupposta, vale a dire del fatto che l’emergenza sanitaria in corso si è attenuata rispetto al momento in cui aveva emesso il provvedimento. Sarà istituita anche la verifica congiunta da parte del Tribunale e del Dap sulla possibilità di assegnare i detenuti per reati di mafia a strutture ospedaliere interne alle carceri, se disponibili. Si tratta insomma di tenere in continuo monitoraggio le 180 misure di differimento pena emesse fino al 30 aprile scorso per condannati di mafia e narcotraffico (nella famosa cifra dei 376 ci sono anche i reclusi cautelari non ancora arrivati a sentenza). A breve potrebbero essere concessi i domiciliari anche ad alcuni degli oltre 230 detenuti di mafia in attesa di giudizio che ne hanno fatto istanza, ma a ieri sera si escludeva di poter sottoporre a particolari vincoli i giudici delle indagini preliminari o del processo, a cui competono simili decisioni. Il che rischia di aggravare la lesione all’autonomia dei magistrati di sorveglianza, trattati ancora una volta come “amministratori della pena”. O al massimo come giudici di serie B, mentre quelli in “premier league” non vedrebbero condizionata la propria discrezionalità. In realtà il decreto in arrivo dovrebbe prevedere una rivalutazione straordinaria anche per chi ha ottenuto la commutazione della misura cautelare da inframuraria a domiciliare. Ma si tratterà di una sollecitazione imposta alle Procure, che verrebbero “invitate” a impugnare le ordinanze cautelari sempre alla luce dell’attenuato rischio contagio.

Le polemiche di Cafiero de Raho e Di Matteo

La domanda è se non siano già complicate le norme esistenti. Perché se persino un giurista di spessore come il procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho si meraviglia dei timori di contagio per chi è detenuto al 41 bis, «in isolamento» e dunque non infettabile, vuol dire che le polemiche hanno seppellito pure i testi di legge. Intanto perché i 41 bis scarcerati per motivi di salute al tempo del covid finora ammontano ad appena 3 sui 376 domiciliari concessi a condannati e accusati di mafia o narcotraffico. E poi perché, come si legge per esempio nell’ormai pubblica motivazione del provvedimento che ha fatto uscire Pasquale Zagaria dalla sua cella, il riferimento è l’articolo 147 del codice penale. Si dirà: be’, l’avrà modificato Alfonso Bonafede. E no. Si tratta di una norma del codice Rocco. Roba fascista. Altro che giudici, e governo, lassisti coi boss. Cafiero de Raho conosce meglio di chiunque altro quelle leggi. Così le conosce il togato Csm Nino Di Matteo. E tutti quelli che tuonano contro il guardasigilli come se scrivesse ordinanze.

Il caso Zagaria: la Costituzione vale anche al 41 bis

«La preminenza dei diritti alla salute, e a non subire trattamenti inumani, sull’esecuzione della pretesa punitiva, nei casi in cui quest’ultima sia in conflitto con tali diritti, non è ovviamente derogabile neppure nei casi di assoggettamento del detenuto al regime del 41 bis»: si legge così nel provvedimento che ha mandato Pasquale Zagaria, superboss camorrista malato di cancro, a casa sua a Brescia. Lì, a quanto riferiscono i difensori, non ordisce trame casalesi ma appuntamenti oncologici. In un ospedale covid free lombardo ha fatto la Tac, e una esezione uretrale per verificare lo stato del tumore che non avrebbero potuto praticargli nella casa circondariale di Sassari. Ecco la terribile attività del superboss: il controllo dell’uretra. Amara ironia a parte, di quell’ordinanza in realtà va colto solo un avverbio: «Ovviamente». Ovviamente l’articolo 32 e l’articolo 27 della Costituzione valgono pure al 41 bis.

Md: «Dal decreto possibili ingerenze nelle decisioni di noi giudici»

Ciò detto, Mariarosaria Guglielmi, segretaria di una componente coraggiosa dell’associazionismo giudiziario qual è Magistratura democratica, rilascia al Dubbio una breve dichiarazione, in cui osserva, «in attesa di conoscere l’effettivo contenuto delle nuove disposizioni», che «l’ipotesi di imporre per legge al magistrato verifiche sul pericolo di reiterazione del reato da parte del detenuto destinatario di differimento della pena, qualora fosse confermata, presenterebbe aspetti problematici». «In particolare», spiega la segretaria di Md, «potrebbe intravedersi una pericolosa ingerenza anche solo simbolica nelle decisioni del giudice di sorveglianza, che già ordinariamente fissa un termine per l’efficacia della misura con cui concede la detenzione domiciliare, e che provvede in seguito a un’istruttoria in cui acquisisce anche il parere della Procura». La “famigerata ”circolare del Dap sul covid Un capitolo a parte riguarda il peso che nelle scarcerazioni ha avuto il covid. Visti i contenuti delle norme primarie in arrivo, non sarà necessario alcun aggiornamento della circolare firmata lo scorso 21 marzo dal direttore generale del Dap Giulio Romano. In quella disposizione, di rango secondario,  si faceva riferimento addirittura a protocolli di organizzazioni internazionali sui pericoli per la salute dei reclusi. Secondo una vulgata che non trova particolari riscontri, alcuni magistrati di sorveglianza avrebbero trovato in quelle poche righe una copertura giuridico-formale decisiva In realtà si deve sempre e comunque tornare agli articoli 146 e 147 del codice penale, quelli che Di Matteo e Cafiero de Raho conoscono benissimo e che esistono dai tempi del fascismo. Neppure sotto quella violenta dittatura si era pensato di subordinare a “esigenze di sicurezza” il diritto alla salute di un detenuto semimoribondo. E ancora non erano neppure lontanamente alle viste gli articoli 27 e 32 della Costituzione repubblicana.