"Ritengo il carcere così com'è, non in coerenza con la Costituzione. L'articolo 27 della Costituzione dice che 'le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita''. Eppure, basta mettere piede in qualsiasi penitenziario italiano, salvo rare e parziali eccezioni, per rendersi conto che le condizioni in cui vivono i detenuti lo contraddicono scandalosamente". Lo afferma in una intervista all'Huffington Post l'ex Pm Gherardo Colombo. "Nemmeno io riuscivo a concepire una societa' senza la pena del carcere, quando ho iniziato a fare il magistrato - ha aggiunto - Credevo che la pena, inflitta rispettando tutte le garanzie del condannato, avesse una forza educativa. Non sbagliavo. Semplicemente, non mi ero mai chiesto a cosa educasse. In una societa' senza perdono, la pena educa solo a obbedire. Insegna a rispettare le regole dicendo che non rispettarle costa molto caro. Anziche' mostrare che la regola risponde a un principio di ragione". L'ex magistrato ricorda che ad un certo punto del suo percorso professionale, "L'idea di mandare in galera una persona mi tormentava, mettendomi davanti a interrogativi insolubili e angosciosi. Ho cominciato a pensare che il carcere non fosse piu' compatibile con il mio senso della giustizia, la mia concezione della dignità umana, la mia interpretazione della Costituzione. Piu' che pensare, in realtà sentivo: sentivo tutta l'ingiustizia della prigione. Era ormai intollerabile. Perciò, dopo anni passati a pensarci, ne ho tratto tutte le conseguenze". Secondo Colombo, "Lo spirito della Costituzione e' informato da una concezione che supera l'idea dell'obbedienza. La persona che la nostra Carta vuole formare e' un cittadino adulto, responsabile, dotato di spirito critico e discernimento. Sono i presupposti della democrazia. Il carcere va nella direzione opposta. Insegna a sottomettersi all'autorita'. Per questo e' incompatibile con la Costituzione". E quindi,una societa' senza carcere, si baserebbe secondo l'ex magistrato "sull'idea del recupero della relazione con chi commette il reato. Senza la disponibilita' a ri-accogliere nella collettivita' chi ha sbagliato, il tessuto sociale strappato dalla trasgressione della norma non si ricucira' mai. Questo significa il perdono: recuperare il rapporto. Non cancellare il male che e' stato fatto. Riconoscendo il dolore della vittima e, per quanto possibile, riparandolo. Fermo restand - ha concluso - che e' necessario mettere chi puo' fare del male agli altri nelle condizioni di non farlo".